Gli spocchiosi
“Il diritto penale ed i disastri ambientali: dalla tragedia di Stava ad oggi” era il titolo del seminario a Giurisprudenza, tenuto alla presenza di un centinaio di persone, tra avvocati, giornalisti, cittadini e soprattutto studenti. Ci siamo andati un po’ perché il mantenimento dell’iscrizione all’Ordine dei giornalisti è subordinata, anche per gli iscritti ormai vetusti, alla frequenza di tali incontri; e anche perché il disastro di Stava - del 1985, con il crollo di due dighe sopra Tesero e la morte di 268 persone - fu un dramma per tutto il Trentino, seguito allora con passione da QT, che vi dedicò molteplici articoli, raccolti poi in un libro.
Quello di cui qui vogliamo però parlare, non sono tanto le relazioni - di Franco de Battaglia all’epoca cronista dell’Alto Adige, del dott. Carlo Ancona che istruì il processo, del prof. Luigi Stortoni difensore, e dei docenti di Giurisprudenza Alessandro Melchionda e Antonio Cassatella - in varia misura interessanti, e che sicuramente hanno fornito alla platea dei giovani inedite informazioni su un grave, importante episodio della nostra storia, in gran parte rimosso.
Vogliamo invece parlare di uno sgradevole siparietto svoltosi sul finire del seminario, di cui contro voglia siamo stati protagonisti. Una cosa minore, come si vedrà, eppur indicativa.
Dunque, al termine della relazione chiedevamo la parola per un breve intervento. In cui focalizzavamo un aspetto complementare a quanto fino ad allora discusso: il trauma per la società trentina nel trovarsi così drammaticamente di fronte a delle macroscopiche, inaspettate inadeguatezze delle proprie strutture di controllo del territorio; e la conseguente reazione, che portò al cambio della Giunta provinciale, e ad una stagione di rinnovamento, nella legislazione e negli apparati, che avrebbe portato a risultati all’avanguardia in Italia. Tematiche, ci pareva, del tutto pertinenti. Che però venivano accolte dai cattedratici al tavolo di presidenza, con ostentata sufficienza: sospiri, sorrisini di compatimento, alzate di occhi al cielo. Quando ci rivolgevamo esplicitamente al dott. Cassatella, giovane ricercatore di Diritto Amministrativo che aveva illustrato le modifiche post Stava nella legislazione nazionale, ricordando le parallele modifiche nella legislazione provinciale, costui, infastidito non ci degnava di un mezzo sguardo, e ostentatamente proseguiva nel compulsare il tablet.
Come mai questo atteggiamento? Ne abbiamo parlato con diversi interlocutori, “non ne sono affatto sorpreso” ci ha detto un altro docente di Giurisprudenza.
Sembra infatti si tratti di un costume, spiacevole eppur ricorrente: diverse persone, giornalisti, avvocati, cittadini, ci hanno rivelato di essere incappati in analoghi, sgradevoli, episodi. Di essere stati trattati, nel corso di molteplici dibattiti, con irritante sufficienza da spocchiosi accademici, i quali non solo si ritengono gli unici depositari della conoscenza, ma pensano di avere - specie quando sono tra quelle che ritengono le loro mura - il diritto di irridere a chiunque altro ardisca presentare dei ragionamenti. Una posizione non solo irritante. Soprattutto culturalmente grave. Perché denota, oltre a qualche problema caratteriale (ma che razza di uomo è mai uno che si compiace nel deridere gratuitamente un’altra persona?), denota dicevamo, l’assenza di una cultura del confronto, sostituita da una concezione libresca, stantia (“accademica”appunto) dell’evoluzione della conoscenza.
“E pensare che questo ciclo di incontri - ‘Il diritto in prima pagina’ - lo avevamo pensato proprio per avvicinare la facoltà alla città”commenta sconsolato un professore.
Perché, intendiamoci, l’Ateneo trentino, non è fatto solo da arroganti sapientoni. Ma questi, pur minoranza, ci sono, e fanno il male innanzitutto all’università, che vorrebbero ridotta a un’autoreferenziale cerchia di spocchiosi: andrebbero individuati e ricondotti a più miti consigli. A suo tempo, il ‘68 i baroni li sbeffeggiava. Aveva torto?