Una sanità screditata
Pesanti lacune, vecchi problemi irrisolti, incapacità di ascolto: troppe cose non funzionano nell’organizzazione della sanità trentina
La sanità trentina da vent’anni attende una riorganizzazione seria che porti a risparmi e offra qualità e sicurezza nelle prestazioni ospedaliere; e accanto a questo si invoca un potenziamento delle offerte della medicina di base sul territorio. Si sono invece succeduti assessori che hanno delegato le scelte sulla salute dei cittadini a dei burocrati, i dirigenti dell’Azienda Sanitaria. Ed oggi è compito di una assessora coraggiosa, ma probabilmente debole nell’ascolto, o forse anche lei soggiogata dalla corporazione dei medici e dei funzionari, quello di tentare di recuperare un ritardo tanto consolidato. Rischiando di divenire vittima delle sue scelte.
Il grande investimento, strutturale e in risorse umane, in formazione, deve avvenire nel settore della prevenzione e del potenziamento delle offerte diffuse sul territorio coinvolgendo nel progetto i medici di base, chiedendo loro maggiore presenza e disponibilità. Lo si dice da troppo tempo; questo investimento richiede tempo e deve avvenire prima di procedere a tagli e a ridimensionamenti severi delle offerte ospedaliere delle periferie. L’assessora invece prima taglia e poi, forse, investe nella medicina di territorio. Nel suo piano, infatti, sul territorio si fa della retorica, ma non si indicano investimenti. Non c’è alcuna traccia di ripensamento sulla follia del NOT, non una parola su una protonterapia costata oltre un centinaio di milioni ed ancora in asfissia operativa. Riguardo al NOT, l’ex assessore e oggi presidente della Giunta provinciale Ugo Rossi, infastidito dalle critiche che gli vengono rivolte dal sindaco di Rovereto, risponde che “ci sono troppi esperti in sanità”.
Ma neppure lui ha dimostrato grande competenza: le accelerate (e sbandate) della assessora PD sono colpa sua, cinque anni sono passati a decidere niente e a sorridere. Non si spende una parola sugli sperperi, sui generosi contributi alle cliniche private che anno dopo anno aumentano, fatto che contribuisce sempre più a depotenziare l’offerta pubblica.
Tutto a Trento
Intanto si è deciso. Si avanzerà a marce forzate verso la centralizzazione, su Trento ovviamente. Nonostante il problema delle liste di attesa sia grave come lo era cinque anni fa. Nonostante la migrazione dei pazienti non accenni a diminuire (16 milioni di euro di deficit nel 2014). E nonostante che il nostro territorio di montagna non permetta l’applicazione del modello di sanità anglosassone.
Già oggi il Santa Chiara è in sofferenza di personale e di sovraffollamento, e mancano sempre più dirigenti capaci di organizzare in loco e offrire efficienza, in quanto devono pensare contemporaneamente ai problemi di tre- quattro strutture diverse. Il Santa Chiara non è più in grado di accogliere i casi di ortopedia e gli incidenti sugli sci, si dirotta sulle periferie: ma se in questi ospedali le sale chirurgiche chiudono, proprio il sabato e la domenica, come si risolve il problema? E se la telerefertazione non funziona? A Trento è stato eliminato il primariato di psichiatria e il reparto scoppia e poi si sono eliminati i primariati di chirurgia pediatrica, di neuropsichiatria infantile, di pneumologia (tutti ridimensionati a strutture semplici). Un’eccellenza dell’ospedale, neurochirurgia (600 interventi l’anno), è in crisi: si attendono macchinari nuovi e stanze per i degenti funzionali a questo delicato servizio; anche in questo caso, anni di attesa.
Si favoriscono le cliniche private?
A Rovereto la prospettiva si presenta ancora più critica, in quanto la mannaia dell’assessora è stata molto severa: i radiologi rifiutano di refertare gli esami che provengono dalle periferie nei pomeriggi e saltano così le urgenze. Gli organici sempre più ridotti non permettono di fare fronte ai turni di 12 ore consecutive. Inoltre si è confermata la soppressione di anatomia patologica, del servizio di riabilitazione neurologica, le indispensabili funzioni di laboratorio di biochimica e microbiologia, diagnostica mammografica, immunoematologia e centro trasfusionale, la farmacia interna.
Fino a due anni fa i costi delle prestazioni mediche per i pazienti trentini in strutture private andavano a finire sul bilancio della Provincia. L’Azienda trasferiva ai privati quante più cure possibili, attraverso convenzioni, per poter così offrire premi di risultato sempre più cospicui ai suoi massimi dirigenti. Ora questi costi, come è giusto che sia, ricadono sul bilancio dell’Azienda. Nel contempo gli ospedali privati (Peschiera del Garda e San Camillo) attraggono medici provinciali di grande esperienza, sottraendo all’ente pubblico quelle competenze che per anni ha coltivato. E a Rovereto la nuova Solatrix sembra proprio intenzionata ad aprire una sua chirurgia convenzionata. Non si può dimenticare la condanna in primo grado subita dall’ex assessore di Rovereto Fabio Demattè per corruzione impropria, proprio per i rapporti con Solatrix: oggi siamo in attesa dell’esito dei ricorsi. Ma quel che è certo è che l’iter per le deroghe al PRG di Rovereto a proposito degli ampliamenti richiesti dalla clinica Solatrix, l’acquisto della clinica dei terreni a monte dell’edificio di proprietà dell’Istituto per il sostentamento del Clero, sono passaggi che non vanno dimenticati. Il deciso ridimensionamento di chirurgia dell’Ospedale Santa Maria (pubblico), contemporaneo all’apertura della nuova chirurgia della clinica privata, non può che alimentare dubbi. Non è che la scelta di ridimensionare il Santa Maria nasconde un favore alla sanità privata?
A Tione viene sì garantita una decisa ristrutturazione muraria, ma oggi serve perlomeno investire in un radiologo in più e ci vuole un altro medico in Pronto Soccorso, reparto che nei fine settimana assomiglia ad un accampamento.
Anche a Cles, nonostante questo ospedale abbia ottenuto un occhio di riguardo, la situazione non è serena: mentre in chirurgia gli interventi sono in continuo aumento, se ne va il primario di anestesia e, come accaduto a Cavalese, non vengono indetti concorsi per la loro sostituzione. Si è così vicini al collasso della funzionalità di questo reparto, come pure della specialistica di ortopedia.
A Cavalese non solo non si costruirà l’ospedale nuovo come promesso solo due mesi fa, ma addirittura si sono tolti i soldi attesi da un decennio, l’investimento che doveva portare alla costruzione dell’ala nuova verso sud e specialmente quello che doveva ridare dignità al Pronto Soccorso. Se ne parlerà dopo il 2018. Intanto si toglie anestesia sulle 24 ore, chirurgia sarà aperta solo da lunedì a venerdì e il primario di ginecologia è appena andato in pensione: lo si sostituirà con le costosissime consulenze che provengono da Verona. Il laboratorio è già ridimensionato e diventerà un banale centro di prelievo; stesso destino capiterà ai laboratori delle altre vallate con le professionalità oggi presenti sempre più svilite.
Partecipazione? A cose fatte!
Un’altra severa polemica ha riguardato il tema della partecipazione. L’assessora ha chiesto al personale medico di offrire indicazioni e proposte su un apposito sito. Ma la società civile e le varie realtà interessate al tema, nemmeno vengono ascoltate.
La ex presidente dell’ordine degli infermieri, Luisa Zappini, ricorda con piglio polemico all’assessora come la partecipazione sia un istituto che va costruito e coltivato. Ai soggetti interessati va offerta la lettura di una analisi epidemiologica di cui oggi non c’è traccia. Si denuncia che il piano recentemente approvato sia il copia-incolla del fallito tentativo di Lorenzini e si sottolinea come sia un raggiro presentare osservazioni su un documento che la giunta, anche se incrinata da due voti contrari (Gilmozzi e Mellarini), ha di fatto già approvato. Infatti solo alcune settimane fa il dirigente Luciano Flor ha emanato una serie di delibere attuative che vanificano ogni ulteriore riflessione.
Il piano sanitario, di fatto, è stato degradato ad un insieme di atti amministrativi che non saranno nemmeno decisi dal mondo politico, ma, come prima, dall’amministrazione dell’Azienda Sanitaria.
La partecipazione è un percorso difficile, faticoso, che deve basarsi su studi e non su emozioni. Un’opinione la si costruisce, come insegnano nei paesi del Nord Europa, nel confronto con l’altro. Il collegio degli infermieri dice che questi passaggi con l’assessora sono impraticabili. E conclude definendo il processo partecipativo una farsa mediatica.
In una situazione così incerta si inseriscono altri problemi. La questione salariale dei medici è stata affrontata in modo alquanto rozzo: si è proposto il taglio del 40% dello stipendio di risultato. Ma non si è spiegato che questa quota di stipendio era stata contrattata per pagare almeno in parte l’enorme monte-ore di straordinario che i medici sono costretti a sommare anno dopo anno, vista la carenza di organici. Stiamo parlando di una media di 212 ore a professionista, in una situazione dove è problematico usufruire delle ferie. Questo plus orario è un vero straordinario, indispensabile per garantire prestazioni e continuità dei servizi. In pochi giorni Rossi e l’assessora sono stati costretti a rivedere la loro decisione.
Tutto quello che non va
Ma andiamo a leggere altri passaggi, minori, ma che dimostrano l’approssimazione dell’agire amministrativo, e - perché no - una diffusa incompetenza.
L’Azienda ha restituito il laser usato per curare la miopia (era gestito in affitto dal 1999) dopo aver operato oltre 3.000 persone. La prestazione non rientra più nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), il noleggio è stato considerato oneroso (3.000 euro al mese) e i due medici che usavano l’apparecchio sono passati a fare lo stesso lavoro al San Camillo (interventi a pagamento). Negli ultimi mesi l’apparecchio era inutilizzato per l’assenza di professionisti, ma correggeva oltre 2.000 difetti visivi all’anno e dal 1999 ad oggi ha risolto oltre 5.000 cataratte.
Psichiatria è allo sbando su tutto il territorio provinciale, Trento con organici al minimo, le periferie con responsabili sempre in cambiamento, tanto che, nonostante tempi di attesa incredibili, i pazienti sono quasi ovunque costretti a rivolgersi a Trento.
In questi giorni è stata la Consulta provinciale per la salute ad aver ridefinito un quadro lucido dei reali temi da affrontare nella sanità. La Consulta approva la riorganizzazione ospedaliera proposta da Borgonovo Re (ancora una volontà dei cittadini che si esprimono senza conoscere il vivere delle valli). Ma il documento parla anche di altro e non certo in modo tenero verso la Provincia: il paziente non è merce, lo si dice esplicitamente. E quindi vi è la necessità di umanizzare le cure, di integrare assistenza sociale e sanitaria, mai tanto necessaria, si definisce emergenza l’aumento della diffusione delle malattie croniche, dell’Alzheimer, e la necessità di implementare i servizi delle terapie del dolore, una vera criticità. Secondo la Consulta è necessario un forte investimento nella medicina del territorio, anche perché senza formazione e servizi sui territori è impensabile diffondere politiche tese alla prevenzione dalle malattie.
Alla fine tutto questo conflitto che si è sparso sul territorio a cosa porterà? Ad un risparmio effettivo che varia fra i 4 e 5 milioni di euro. Il nuovo presidente dell’Ordine dei medici, Marco Ioppi, si chiede dove erano questi sindaci che oggi protestano contro i tagli negli ultimi anni; a lui sembra chiedessero solo impianti e strade. Dove sta la loro credibilità?
Qualche ragione ce l’ha. Ma anche lui non riesce a svolgere un equilibrato ragionamento d’insieme. Perfino Rossi protesta contro questi sindaci: a suo dire la delibera di giunta è chiara e garantisce qualità e sicurezza. Ma subito aggiunge che “i contenuti sono tutti da chiarire”. E questi sarebbero amministratori del bene pubblico?
Nell’insieme di tanto caos, una posizione ferma e articolata nei contenuti proviene dalla Comunità di valle delle Giudicarie. I pazienti sono in fuga già oggi, perché i proclami contro la sicurezza e i tagli di personale e servizi demoliscono la credibilità dell’intera Azienda: gli ulteriori tagli incentiveranno il rifugio in ospedali periferici più vicini alle valli (Brescia, Bolzano, Feltre). E poco o nulla si è parlato di sociale, di temi che stanno alla base nella strutturazione di un piano della salute: stato delle patologie e loro diffusione territoriale, emergenze, case, lavoro, disagio mentale. Un piano solo approssimativo - si afferma - che comunque propone delle certezze: una frattura fra periferia e città sempre più acuta, i pazienti trattati come merce e il trasferimento dei problemi sanitari e dell’assistenza, causa i maggiori costi e disagi, sulle famiglie.
La fermezza con la quale l’assessora Borgonovo Re impone la sua linea sta anche vanificando i recenti tentativi del PD di radicarsi nelle periferie. Non è il caso di riaprire un confronto di dettaglio e ascoltare voci importanti come quelle della Consulta o dell’Ordine degli infermieri? Perché non informare sullo stato della diffusione delle varie patologie? E perché non dare voce ai tanti cittadini che chiedono partecipazione attiva?