Le beatitudini della malattia
La voce poetica della Ladinia. Roberta Dapunt, Einaudi, 2013. pp. 54, € 8.
È possibile scrivere un intero libro di poesia sull’alzheimer? Un libro del genere lo ha appena pubblicato Einaudi, nella sua prestigiosa “Collezione di poesia”, ed è un’opera di straordinaria intensità. Lo ha scritto Roberta Dapunt, poetessa ladina tornata a vivere insieme al marito scultore Lois Anvidalfarei - dopo una giovinezza cosmopolita - nel maso di famiglia in località Ciaminades, in Badia, di fronte al gruppo dolomitico del Sas dla Crusc. Occupandosi della conduzione del maso, della stalla, dell’alpeggio, e traendone libri di una poesia dimessa, impoetica, ma di una verità sapienziale folgorante (soprattutto se letti nelle nostre città di plastica, che lei ha abbandonato).
Il Sudtirolo ha avuto nel ‘900 una letteratura tedesca tanto grande quanto lo sono state le convulsioni di quella terra lacerata, sul crinale della storia europea. Dal grande vecchio Franz Tumler (1912-1998, con un passato da aedo nazista ed un successivo percorso penitenziale espiato nella Berlino assediata della guerra fredda) al “nipotino”, più noto in Italia, Joseph Zoderer. Una letteratura italiana in difficoltà, che solo recentemente con un’autrice “in prestito” come Francesca Melandri (“Eva dorme”) è riuscita ad ottenere una certa visibilità. Ma fino ad ora non aveva avuto voci ladine riconosciute.
A partire dal 1993 Roberta Dapunt pubblica alcune raccolte poetiche, sia in ladino che in italiano, dalla circolazione limitata, come quasi tutti i libri di poesia oggi. Ma nel 2008 la sua maturità poetica incontra (grazie al tramite di Erri De Luca) il grande pubblico con “La terra più del paradiso” per i tipi dell’Einaudi, ed è un vero successo: modesto - com’è l’autrice, e com’è anche la poesia contemporanea - ma molto solido, basato sulle cose vere che Roberta Dapunt ha da dire, e sul modo essenziale in cui le dice: vibrante di una emozione formalmente contenuta ma fortissima di fronte all’avventura della vita. Accettata come destino inscritto in un territorio che la forgia, e che viene contemplato con religiosa adorazione e con perfetta identificazione. Il successo è stato costruito dall’autrice anche grazie ai suoi ammalianti reading, in cui si presenta al pubblico (di solito da piccoli numeri, in situazioni come biblioteche, musei, circoli culturali) con la sua aria da Joan Baez ladina, una coda di cavallo con fili argentati ed una voce sussurrata, che bisogna tendere le orecchie per percepire.
La “ladinità” dolomitica di Roberta Dapunt (intesa in senso antropologico, non linguistico) è sostanza della sua poesia. Ma è una ladinità che è allegoria della vera condizione umana, della sua limitatezza, del suo stare in bilico sul baratro intrisa di fatica e dolore, ma anche, contemporaneamente, della sua compartecipazione alla divinità. Dapunt è una poetessa della vita quotidiana nella sua dimensione più “bassa”, fisiologica, ma anche della folgorazione. La folgorazione che sgorga dalle cose di tutti i giorni è proprio la sua ispirazione. Questo suo secondo libro per Einaudi, “Le beatitudini della malattia”, è tutto dedicato alla progressiva presa di possesso della madre - chiamata alla ladina Uma - da parte della malattia dell’alzheimer. Un dialogo fitto, doloroso ed affettuso, con un radicale “altro da sé”, che però sta anche “dentro di sé”, è lo specchio del comune umano destino.