Eravamo la DC: memorie della classe dirigente democristiana in Trentino
I leader ricordano. Giovanni Agostini. Trento, Il Margine, 2013, pp. 288, € 16.
Di solito la storia orale è un genere confinato alle classi subalterne. Qui abbiamo invece un caso interessante di storia orale delle classi dirigenti, anche se il sottotitolo la definisce con l’espressione più generica di “memorie”. Giovanni Agostini - giovane pubblicista noto fino ad ora per una monografia sulla facoltà di Sociologia pubblicata nel 2008 dal Mulino - intervista in maniera soft (lasciando cioè fluire spontaneamente i ricordi senza incalzarli troppo da vicino con domande stringenti) 11 importanti politici democristiani trentini, scelti nella generazione che ha rimesso in piedi la DC dopo la guerra (Fronza, Segnana, Bolognani), in quella che ha impostato l’autonomia speciale (Grigolli, Mengoni, Armando Paris) e in quella che ha concluso l’esperienza della DC trentina (Angeli, Postal, Robol, Paolo Piccoli e Malossini), gettando le radici del presente.
Ilvo Diamanti, nell’introduzione, indica il principale motivo di interesse di questo libro nella “esemplarità” del caso trentino, “perché si tratta di una zona dove il legame del partito con la società e il territorio è stretto, strettissimo”. E le interviste lo confermano in pieno, a partire dal primo periodo, gli anni ‘40, quando una nuova schiera di giovani, tutti usciti dalle organizzazioni cattoliche (Azione Cattolica, FUCI) fa piazza pulita dei personaggi antichi, ancora legati ai vecchi popolari, per portare sulla scena politica locale un cattolicesimo più sociale, emanazione diretta delle classi popolari, della povertà dignitosa allora dominante, che si propone come rappresentanza politica e insieme “società di servizio” intimamente intrecciata con la vita locale, più dei paesi, delle valli, che della città. In una dimensione totalizzante, in cui essere trentini era automaticamente essere anche democristiani, e la DC esprimeva tutto al proprio interno, ma praticando una chiusura verso l’esterno (guidata da un forte anticomunismo, basato sulle categorie di amico/nemico). Un disinteresse per l’altro da sé ancora documentato dalla natura “auto-centrata” di queste interviste-memorie, in cui raramente entra qualcosa di “esterno”, e la stessa contemporanea dinamica della società trentina (lo spostamento dall’agricoltura all’industria, il progressivo benessere) viene filtrata dai confronti interni, molto personalizzati.
L’esterno però lo incontrano sulla loro strada traumaticamente, tramite l’autonomia regionale. Le parole più esemplari al riguardo sono quelle di Grigolli (il più lucido fra questi intervistati, assieme al “finale” Paolo Piccoli): “L’Alto Adige era il grande sconosciuto. Si sapeva che c’era. Un territorio sconosciuto, una realtà da guardare... ma che non sentivamo”.
La prima autonomia, quella derivata dal patto De Gasperi-Gruber era su base regionale, e l’art. 14 prevedeva che l’attività legislativa spettasse alla Regione, la conseguente attività amministrativa, invece, alle Province. Ma sull’interpretazione dell’art.14 salta la Regione, i sudtirolesi chiedono il “Los von Trient”, scoppiano le bombe. Armando Paris riconosce adesso, col senno di poi: “Lì abbiamo avuto noi delle lacune anche sul piano culturale... Odorizzi [l’allora presidente trentino DC della Regione] aveva la concezione del rappresentante dello stato... non capiva niente di queste cose”, e Fronza lo accusa di essersi fatto mal consigliare “dall’ex prefetto di Bolzano Innocenti, che era direttore generale al ministero degli Interni”, insomma dalla burocrazia di “prima”. Quando le bombe risvegliano dal brutto sogno, dovrà essere la politica romana a prendere in mano i rapporti fra Trento e Bolzano, creando l’autonomia “speciale” delle due Province, di fatto svuotando la Regione, cosa di cui ancora paghiamo le conseguenze.
Contesta questa interpretazione Postal, ed anche alla presentazione del libro alla FBK ha affermato che la presenza dei DC trentini nella commissione dei 19 (per la definizione della seconda autonomia) dimostrerebbe il contrario. Tesi poco convincente. Certo che poi una commissione dei 19 bisognava farla, e con dentro anche la classe dirigente trentina. Ma prima ci sono volute le bombe. Diciamo pure che a Trento è mancato un regionalismo autonomistico. Sarebbe stato, ed è, molto necessario.