La crisi delle librerie indipendenti
Intervista a Gabriella Quinzio, libraia della Blulibri di Rovereto
Quando agli inizi degli anni ’80 è stata fondata la Cooperativa Libraria (ero anch’io fra i soci fondatori) a Rovereto non c’era nessuna vera libreria, solo tre cartolibrerie nelle quali era inutile cercare qualche libro un po’ particolare. Oggi quella fondata allora è diventata la Blulibri, una bella libreria (appartenente alla Job’s coop) nel centro storico di Rovereto, in piazza del Grano, con un fatturato oltre i 500.000 euro, due dipendenti, e un importante ruolo culturale in città, essendo in grado di procurare ogni tipo di pubblicazione, anche di editori piccolissimi, che rintraccia con grande professionalità, ma anche grazie a continue attività: incontri con l’autore, letture, proiezioni in sede, la partecipazione a manifestazioni varie. Però di librerie a Rovereto oggi ce sono anche altre 6: tre appartenenti a grandi catene (Mondadori e Giunti, una delle quali all’interno del Centro commerciale Millennium), oltre al book-shop del MART (che lavora con i turisti di passaggio). Forse per questo, nonostante la Blulibri funzioni - come dimostra il fatturato - è sempre a rischio, come tutte le librerie indipendenti. Non saranno un po’ troppe oggi le librerie? Lo chiedo alla libraia senior Gabriella Quinzio. “Quella delle altre librerie è in realtà solo una parte della concorrenza. – risponde - Oltre alle altre librerie ormai ci sono gli scaffali di libri all’interno dei supermercati, che vendono solo best-seller e con campagne di sconti che ci stendono. Così loro adesso ci tolgono una buona quota di vendita di best-seller, quelli che ci davano la liquidità necessaria per tenere in libreria tutto il catalogo degli editori, libri che vendi una volta ogni tanto, e che costa tenere in libreria, ma che qualificano l’offerta. Quello degli sconti poi è un vezzo tutto italiano, che all’estero non trovi. Là i prezzi dei libri sono più bassi all’origine e quelli restano. In Italia invece lo sconto è lo strumento per una concorrenza tesa a far fuori le librerie indipendenti, che non hanno dietro le strutture delle catene e della grande distribuzione. I prezzi dei libri in Italia sono più alti apposta perché mettono in conto campagne di sconto continue, alle quali una piccola libreria, anche se potesse permettersele, dovrebbe dedicare il lavoro di una persona apposita; la libreria Traverso di Vicenza ha fatto il conto di aver ricevuto l’anno scorso 250 proposte di campagne, che richiederebbero una contabilità particolare. E non sempre la libreria può, perché comunque le campagne di sconto le finanziamo anche noi librai, rimettendoci circa un terzo del magro 30% del prezzo di copertina che dovrebbe restare a noi”. Ma sulla vendita del libro non è stata approvata nel 2011 una specifica legge - mi azzardo a chiedere - la famosa legge Levi? Lei mi risponde che siamo in Italia, fatta la legge trovato l’inganno, “e in questo caso l’inghippo è consistito nel moltiplicare all’infinito le collane, perché la legge concede di fare sconti fino (non oltre) al 25% per 2 sole campagne all’anno, così gli editori le campagne le lanciano sulla collana, e basta moltiplicare il numero di collane”.Comunque le molte librerie e la concorrenza dei supermercati, non sono ancora tutto, ci spiega Gabriella: “È stato solo l’inizio dei nostri problemi; negli ultimi anni una botta l’abbiamo presa anche quando hanno cominciato a vendere i libri on-line con il 30% di sconto, che è tutta la quota del prezzo riservata alle librerie. Poi la gente è stata all’inizio ancora timida nel percorrere questa strada, sia per il timore di esporre in rete la propria carta di credito, sia per la complicazione delle modalità d’ordine, e dunque la cosa non è stata così devastante come poteva essere, ciononostante ha eroso tutto quello che poteva erodere, ed infatti dal 2010 le librerie indipendenti stanno sistematicamente chiudendo, o comunque strusciano”. Le parole di Gabriella ci danno l’immagine di un mercato molto standardizzato, con una domanda succube dell’offerta. Un tempo le catene e le campagne di sconto non c’erano, ma i libri si vendevano lo stesso. “La libertà di vendere certe cose è quasi bandita in un mercato come questo. È chiaro che al supermercato non troverai Fenoglio (tanto per dire), perché non rende, non dà grosse entrate. Ma per noi invece Fenoglio è un titolo di libertà, un autore che terrai sempre in libreria. Ma se io libraio non ho la liquidità che mi viene data dal poter vendere anche i best-seller ad un prezzo remunerativo, non mi posso più permettere di tenere queste cose, sarò costretta a fare anch’io il gioco delle catene. A dire: mi tengo anch’io solo i best-seller, per 3 mesi, e poi li butto al macero. Non puoi più permetterti di chiederti cosa avrà da dire questo nuovo autore, e di proporre anche lui all’acquirente. Non c’è il tempo, devi continuamente cambiare i libri sugli scaffali per far posto alle novità, al libro scontato. E l’editore in questo si trova a pubblicare tanta spazzatura, perché l’importante è non tanto la qualità ma la quantità, l’occupare spazio sugli scaffali. Più metri di scaffale occupi, più sei visibile e più hai la possibilità di vendere. È un meccanismo che massacra anche le piccole case editrici di qualità; anche loro, affidate a canali distributivi che dipendono da quelle grosse, rischiano di soccombere a questi meccanismi”.
Ma è scomparso l’acquirente anche lui indipendente, quello che cerca un determinato libro?
“No, quel pubblico lì fortunatamente c’è, è lo zoccolo duro che ci permette di resistere. È il lettore che si informa continuamente, che legge le recensioni e che compra quello che gli interessa a prescindere dalle campagne. Da questo punto di vista ogni libreria indipendente è di solito caratterizzata dalla tipologia di pubblico che si è costruita, ma noi siamo una libreria un po’ anomala, senza particolari specializzazioni. Varie volte ho cercato di scartare un settore a favore di un altro per vedere di collocarmi in maniera più specifica sul territorio, ma ho visto che non c’è un tema che tiri più di un altro”. Le parole della libraia ci disegnano quindi il paesaggio di un settore in pesante crisi di trasformazione, combattuto fra gli effetti delle tecnologie informatiche (come dappertutto un crinale), della concentrazione e omologazione dell’offerta commerciale che vorrebbe travolgere tutto, e la tradizione di un servizio - quello della libreria - che non passa proprio tutto per il mercato. Le librerie indipendenti sono anche un centro di aggregazione culturale, offrono (gratuitamente) un servizio di informazione bibliografica puntuale al cittadino (“Cosa c’è di recente su questo argomento?”) e soprattutto sono l’unico segmento del mercato in cui può vivere una piccola editoria che ricerca e sperimenta, individua nuovi autori, li mette per prima alla prova del pubblico. Senza librerie indipendenti da dove dovrebbero saltar fuori i prossimi Fenoglio, Levi, Pasolini? (per restare nel campo della letteratura, quello più venduto nelle librerie). Ci si prepara un futuro “senza”? E quello che risulta è la mancanza di serie politiche di settore. La mancanza di efficaci interventi capaci di sostenere realmente l’interesse pubblico, individuando quadri normativi nei quali questi luoghi della conoscenza e del suo continuo aggiornamento (una ricchezza collettiva) possano trovare un riequilibrio rispetto agli interessi privati speculativi, che altrimenti rischiano di farne tabula rasa. Non si tratta di concorrenza evidentemente, ma della capacità di tenuta di specifici settori di mercato che hanno in sé un proprio valore collettivo, sono parte della catena di produzione intellettuale. Anche se magari non hanno una grande incidenza immediata sul PIL (ma mediata sì, tramite lo stimolo alla capacità di informazione, aggiornamento, reattività al cambiamento. Proprio quello che manca in questo paese).