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Il futuro degli Indignati

Francesco Passerini
Scontri tra i manifestanti le forze dell'ordine a Roma

È un peccato che la manifestazione degli “indignati” di Roma sia andata come è andata. Era infatti ora che i giovani facessero sentire la propria voce rispetto alla carenza di sbocchi che si trovano davanti, ma se le strade degli indignati si incroceranno ancora con quelle del “blocco nero”, distruttori alla stato puro, il movimento perderà gran parte delle sue potenzialità. Gli “indignati” devono porsi una questione: non è forse il caso di trovare modi diversi di stare in piazza e, più in generale, di portare avanti le proprie iniziative? Nelle grandi manifestazioni, se non si dispone di un servizio d’ordine organizzato, il rischio di infiltrazioni è sempre alto. Per quanto riguarda i contenuti, “Noi la vostra crisi non la paghiamo” è uno degli slogan che vanno per la maggiore. Chi protesta contro le scarse opportunità per i giovani ha ragioni da vendere: si chiede loro flessibilità, ma si impongono regole tutt’altro che flessibili (penso ad esempio alle difficoltà nel ricongiungere contributi previdenziali di tipi diversi, o agli apprendistati che l’ingresso in certe professioni richiede ma che le aziende faticano a concedere, preferendo collaborazioni tramite partita IVA). D’altra parte, non bastano gli slogan: non si può godere di ciò che di positivo ha lasciato la generazione precedente e allo stesso tempo pretendere che debiti, squilibri, questioni irrisolte spariscano. Vi sono dei problemi oggettivi.

I giovani di colossi emergenti come Cina e India, come è loro diritto, reclamano la loro fetta, e sono pronti a combattere per averla. La crisi delle economie occidentali non è quindi un raffreddore passeggero. Va pagata. Bisogna decidere come saldare il conto, quanto fare pagare agli uni e quanto agli altri. E, soprattutto, serviranno spirito di sacrificio e capacità di innovazione, perché le soluzioni non verranno dall’alto, con agende imposte da banchieri e osteggiate dalla popolazione, e neanche con mugugni o slogan, ma con l’impegno di tutti i giorni. Con la Cina non possiamo certo competere sul piano quantitativo, ma su quello della qualità sì, con un modello in cui la persona stia al centro. I vecchi equilibri si sono rotti: cerchiamone di nuovi, veramente sostenibili, cioè rispettosi dell’ambiente e delle generazioni future.

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