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QT n. 5, maggio 2011 Servizi

Il restauro difficile

Restauratore: un mestiere imbrigliato da mille regole che continuano a cambiare

Da ormai dieci anni nella cateogria dei restauratori è in atto una rivoluzione poco conosciuta, che, silenziosamente, sta causando non pochi problemi agli addetti ai lavori, soprattutto se titolari di piccole imprese di restauro o giovani usciti di fresco da università, scuole e accademie di restauro o di conservazione dei beni culturali.

Va subito precisato che tale rivoluzione riguarda i restauratori che intervengono su beni (quadri, monumenti, affreschi...) tutelati dai Beni Culturali. Perché uno può continuare a svolgere la sua attività per privati senza problemi, ma si capisce subito che restaurare - facciamo un esempio - un quadro di una pala d’altare oppure una vecchia “crosta” ereditata da un parente sono due cose ben diverse, in fatto di prestigio...e di guadagno.

Tutto nasce nel 2001, quando a Roma cominciano a parlare di un cambiamento del “Codice del restauro dei beni culturali”. Alberto Nibrini, titolare della - fu - ditta “Nibrini Alberto Restauri”, racconta che sua moglie ha passato gli ultimi anni a spulciare leggi, decreti legge, ricorsi e quant’altro, per cercare di capire che cosa sta succedendo. Il che fa capire che la situazione non è per niente chiara, né facile da dirimere. Neanche per quelli del mestiere.

“Il nuovo codice definisce restauratori abilitati al restauro di beni tutelati quelle ditte o persone che dimostrano di avere certi requisiti. In particolare, per chi non ha titoli di studio, sono dieci anni di lavoro continuativo su opere tutelate, antecedenti al 2001” inizia a spiegare Alberto. E già qui arrivano i primi inghippi: “Molto spesso il lavoro di restauro non copre tutto l’anno solare. Si lavora qualche giorno, qualche mese, a seconda degli appalti che riesci ad aggiudicarti. Se poi si parla di interventi in esterno, magari su affreschi, il periodo si restringe ai mesi caldi”.

Insomma, mettere assieme dieci anni di lavoro può risultare faticoso?

“Certo. Ad esempio io lavoravo da quasi vent’anni, sia su privato sia su beni tutelati. Mi ero fatto un nome, avevo i miei appalti, ma non riesco a certificare dieci anni di lavoro e così ho dovuto chiudere la ditta. Ho tenuto il restauro per privati, quasi più come hobby, visto che non sono grandi interventi, e lavoro come gommista”.

Nella stessa situazione ci sono tanti altri piccoli imprenditori: c’è chi è in cassa integrazione, chi ha aperto una pizza al taglio, chi è stato assorbito da ditte più grosse, chi non sa che fare.

Per i lavoratori dipendenti la situazione è altrettanto caotica. “Il problema sta nella titolarità del lavoro - puntualizza Mariachiara Stefanini, presidente della categoria - Anche se il restauro, tecnicamente, viene svolto da un dipendente, titolare del lavoro risulta essere il padrone della ditta, perché firma la relazione finale”. Oltre al danno la beffa: il dipendente accumula esperienza ed anni di lavoro che vengono capitalizzati dal suo datore di lavoro.

Per chi ha un titolo di studio, invece, come funziona?

“Bisogna vedere quando ti sei laureata. Ad esempio, io sono uscita dalla scuola nel 2002, e mi vengono riconosciuti tre anni di studio (quelli prima del 2001, n.d.r.) su quattro. Per essere abilitata devo dimostrare di aver lavorato due anni. Io ce li avrei anche, ma senza titolarità”. A parlare, questa volta è Mariachiara Chiarani, una giovane restauratrice di Trento. “Al di là del sogno infranto di poter diventare restauratrice di beni culturali, la cosa che rode di più è che la scuola privata di restauro che ho frequentato poteva rilasciare l’abilitazione. Mi ero iscritta lì proprio per questo, poi, in corso d’opera, sono cambiate le regole. Non lo trovo per niente corretto. Per adesso continuerò a fare restauro per privati nel mio laboratorio, sperando che le cose si dipanino un po’ per capire quale sarà il mio futuro”.

Gli sviluppi

La situazione, dal 2001, hasubito alcune modifiche, ma si è ancora nel limbo. Basta partecipare ad una riunione di categoria per rendersene conto: è un fiume di date, decreti legge, numeri di anni che si susseguono, accavallano, confondono. “Nel 2004, dopo vari ricorsi, è stato stabilito che il lavoro di restauro deve essere affidato ad un restauratore qualificato per tutelare le ditte di restauro specializzate nei confronti di quelle edili e gli anni da dichiarare sono stati portati ad otto” chiarisce la presidente.

E nel 2006 la legge entra in vigore, ma le battute d’arresto e le novità sono continuate. “Ad un certo punto bastavano sette anni di lavoro da integrare con un esame. Sembrava tutto a posto. Quasi un mese fa il primo gruppo di aspiranti restauratori è sceso a Roma e la mattina stessa è stata distribuita una circolare ministeriale che annunciava che gli esami erano sospesi fino a nuova comunicazione” dice la voce delusa di Alberto.

“Dietro a queste manovre c’è la categoria delle imprese edili, che sta cercando di non far riconoscere a livello legislativo la figura dei restauratori dei beni culturali per poter continuare ad aggiudicarsi le gare di appalto per i restauri più grossi e continuare a pagare i restauratori con il contratto degli edili” ipotizza un restauratore presente alla riunione di categoria.

Attualmente c’è un’altra novità: la proposta di calcolare i dieci anni di lavoro a partire dal 2009 anziché dal 2001. Tuttavia, la proposta non soddisfa tutti e quindi è ancora al vaglio.

E in Trentino come vanno le cose?

“Fino a qualche anno fa si poteva ancora lavorare, poi dal 2005 la Soprintendenza ha recepito la legge ed è diventato sempre più difficile aggiudicarsi appalti” prosegue il nostro restauratore.

Tuttavia gli interessati trentini non sono rimasti inerti a guardare. Hanno sottoposto la questione alla Provincia per cercare di far fronte alla situazione; ma con scarsi risultati: “Sono andato personalmente dall’assessore alla Cultura per chiedere un parere e sollecitare un intervento. Mi ha rassicurato dicendo che non c’erano problemi, che aveva la situazione sotto controllo. Invece, in tre anni, non ha fatto niente”.

I rappresentanti della categoria come si sono mossi?

“Vedi, la presidenza è formata da titolari di ditte che hanno tutte le carte in regola. Qualcosa hanno fatto, ma non molto” polemizza Alberto.

Diversa la situazione riportata dai diretti interessati, i quali, però, sembrano minimizzare sulle ricadute negative, e alla richiesta di precisare il numero di ditte che hanno chiuso a causa della situazione rispondono che non hanno dati precisi, ma che, sicuramente, non è una situazione preoccupante.

Per usare le parole di Alberto, in un Paese che vanta il maggior numero di monumenti e di beni protetti dai Beni Culturali tutti potrebbero campare facendo i restauratori. Ma qualcuno sta tentando di accaparrarsi le fette maggiori della torta.

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Commenti (1)

ah ma allora è capitato ad altri!!! michela


leggo ora questo articolo del 20011 e mi verrebbe da dire mal comune mezzo gaudio...
mi chiamo Michela abito in Valle di Non, chiedo una cortesia come posso reperire una lista dei restauratori e/o ditte di restauro artistico del Trentino ?
le Associazioni Artigiane non sono state in grado di aiutarmi per motivi di privacy.
Vorremmo organizzare, come Associazione Culturale "Officina Artistica" della valle, dei corsi ad alto livello per artigiani e restauratori quali:dorature ,finto marmo, marmorino, decorazione a lacca" povera " e lacca cinese.
Ho conosciuto un'esperta del settore dalla quale io stessa nel 2011 ho fatto un corso full immersion. ecco perché conoscendone la validità vorrei arrivare a tutti quegli operatori del settore ma anche appassionati che fossero interessati alla cosa.
grazie
cordiali saluti
Michela
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