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Tomas Kubinek

Si è chiusa con l’ultimo weekend di marzo la stagione “ufficiale” di prosa del Centro Santa Chiara. In scena per quattro repliche è andato Tomas Kubinek, clown-mimo-comico-attore-mago-prestigiatore, ceco di origine ma statunitense di adozione. Per chi lo ha visto all’Auditorium tra giovedì 25 e domenica 28 marzo si è trattato di un’esperienza molto particolare. E per diverse ragioni. Ci si è trovati davanti a uno di quei pochi artisti che possono permettersi di calcare un palco senza bisogno di un titolo, un testo o uno spettacolo nuovo. Vengono in mente, ma con tutt’altre modalità, certi nomi della comicità italiana (Benigni, Grillo, anche Guzzanti), che portano in scena se stessi, mettendo davanti a tutto il proprio personaggio, il proprio carisma. E in effetti Kubinek così ha fatto: un’ora e mezza abbondante di gag, di repertorio classico della comicità e della clownerie, di trovate più o meno interessanti, e soprattutto di interazione - fortissima, quasi al limite - con il pubblico. Sia chiaro: Kubinek è un maestro del suo genere, e come ogni maestro denuncia a chiare lettere i propri debiti nei confronti dei suoi stessi maestri, con citazioni abbondanti da Chaplin, Buster Keaton, ma soprattutto della grande tradizione circense-clownistica europea, ben ancorata ai suoi stereotipi e ai suoi meccanismi classici, ma fruibile anche da un pubblico “teatrale’” Nello spettacolo di Kubinek, che si autodefinisce “lunatico certificato e maestro dell’impossibile”, c’è di tutto e di più, quindi. Anche se forse non abbastanza.

Si ride, certo, e anche molto: la padronanza dei tempi comici e della risata a orologeria è perfetta, tanto più che, come si dice, a teatro è molto più facile far piangere (in tutti i sensi...) che far ridere. Kubinek ha tenuto in mano il pubblico senza mollarlo un attimo per un’ora e mezza, anche grazie a furbizie che forse, data la sua classe e la sua eleganza, si potevano evitare. Perché giocare così tanto con il coinvolgimento del pubblico, tornando spesso e volentieri - quasi fosse un tormentone - sulle due o tre persone nelle prime file individuate come simpatici bersagli comici, quando Kubinek ha dato prova di saper far ridere e di saper stupire davvero con tre oggetti in scena e qualche luce? La magia, la poesia, il romantico che si nascondono dietro la clownerie classica sono andati persi a scapito di alcune gag in un italiano storpiato dai sicuri - ma anche ripetitivi - effetti comici. Un finale di stagione, insomma, leggero, sognante, ma che lascia l’amaro in bocca, nonostante il buon successo di pubblico.

Intanto, la stagione 2010/2011 è già pronta: il direttore artistico Franco Oss Noser, agli sgoccioli del suo incarico, ha in canna due o tre colpi da fuoriclasse. Magari spettacoli non proprio nuovissimi, ma che denunciano il tentativo di superare certi schemi e proporre, almeno a teatro, la complessità. Sembrano mancare ancora i nuovi nomi della cosiddetta “generazione T” (Santasangre, Teatro Sotterraneo, Muta Imago e soprattutto Babilonia Teatri), freschi di premio Ubu 2009, ormai affermati e che anche il pubblico del Santa Chiara potrebbe apprezzare. Perché non provarci?

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