Barbablù speranza delle donne
A cura di Teatri Possibili, con attrici non professioniste, un intelligente allestimento sull'archetipo dell'uxoricida sedicente incompreso.
Vi sono alcuni personaggi, alcune storie che travalicano ogni considerazione contingente, diventando eterni nel modo in cui solo un archetipo valido per tutti i secoli dei secoli può essere. Tale è la vicenda del terribile Barbablù, uxoricida plurimo, sempre pronto ad autogiustificarsi attribuendo alle sue curiose consorti la responsabilità di averlo condotto ad eliminarle. Troppo desiderio di conoscere per una donna può essere letale. Dimostra un fortunato tempismo, l’allestimento, al Teatro S. Marco di Trento, di questa pièce da parte di Teatri Possibili Trento, in questa buia epoca in cui la battaglia contro la violenza alle donne viene insozzata da discorsi beceri e da mentalità retrograda. Questa interessante realtà emergente nel già affollato panorama teatrale trentino ha dimostrato che si può riuscire bene anche volando alto grazie a intelligenti collaborazioni. Il testo di "Barbablù speranza delle donne" è un libero adattamento creato da Dea Loher che è stato tradotto appositamente per questo allestimento da Roberta Cortese.
Heinrich Barbablù è un commesso in un negozio di scarpe, la cui vita viene stravolta da una ragazza che gli propone l’amore assoluto, "oltre ogni misura". Quando l’uomo oppone alla frenesia della donna una razionale pacatezza, essa si uccide. Barbablù si sente responsabile della morte e innesca un meccanismo di difesa che lo conduce a uccidere tutte le donne che tentano di costringerlo in un ruolo che non sente suo: l’innamorato fedele, il "fisso" (colui che ritorna sempre dalla stessa donna), l’amante impetuoso ed esclusivo.
Giovani attrici non professioniste interpretano queste femmine desiderose di un compagno che stia al loro gioco: Manuela Broseghini, Claudia Carlini, Carlotta Mattedi, Deborah Meneghini, Paola Pedergnana e Daniela Zampogna. Tutte brave nel comunicare l’urgenza e il desiderio, trovano in Barbablù, un solido Giovanni Oieni, la fine di questo ossessivo desiderio. La parte più impegnativa e intensa tocca a Francesca Ruozi, nel ruolo di una donna cieca che interpreta il mondo attraverso gli odori e i suoni. Il profumo di vaniglia di Heinrich Barbablù la conquista, ma non la condanna, perché ella riesce a raggiungere la consapevolezza e a sconfiggere il mostro.
Brave le interpreti e bravo l’unico uomo in scena, ben studiata la disposizione degli attori che sono sempre tutti sul palco, ingegnoso un balletto di gambe che alleggerisce il finale, e ottima la scelta delle musiche: ogni cosa funziona in questa rappresentazione che, al di là di tutto, è anche una commedia, con punte di grande ironia. Una scelta intelligente, quella di sorridere anche di vittime e carnefice.