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QT n. 9, 5 maggio 2007 Monitor

Brecht: la verità è una bomba

Il "Galileo" versione Antonio Calenda (regista) e soprattutto Franco Branciaroli (interprete) fa sempre riflettere su scienza e potere; un teatro della parola che comunque riesce ad avvincere lo spettatore.

Nel cinquantenario della morte di Bertolt Brecht, Galileo Galilei si è fermato a Trento, dove la sua controfigura, Franco Branciaroli, ha rappresentato e raccontato la sua vita di scienziato geniale e di vittima dell’Inquisizione. Per cinque volte, dal 18 al 22 aprile, il regista Antonio Calenda ha sorpreso gli spettatori, a fine recita, con una "finestra" attraverso la quale un fungo atomico ha brillato nel buio del Teatro Sociale, accompagnato dal sinistro boato dell’esplosione.

Franco Branciaroli nel "Galileo" di Brecht.

Il riferimento è stato chiaro, la scelta critica manifesta, l’insegnamento "alto" e severo: gli scienziati che si piegano al potere, sia pure per paura di perdere la vita, quando non semplicemente per timore di dover rinunciare al benessere, si rendono complici dei più abominevoli misfatti e disonorano la scienza che praticano, infamando tutti coloro che ai suoi progressi hanno partecipato con sacrifici e appassionata dedizione.

Eppure, il Galileo di Brecht-Calenda-Branciaroli è simpatico, umano, un po’ marpione: ama i piaceri della tavola, sa di essere un genio, non disdegna di assumersi meriti altrui (l’invenzione del cannocchiale) pur di riempire lo stomaco, finge l’abiura e nel contempo lavora alle sue teorie, che riesce a divulgare per vie traverse. Insomma, sembra dire il Galileo del trio artistico summenzionato: voi, al mio posto, vi sareste lasciati torturare e bruciare vivi?

La bomba nucleare sembra una conseguenza inevitabile, un terribile effetto collaterale, quasi necessario, del progresso della scienza, che Galileo ha portato avanti dal suo controllatissimo esilio, consapevole di aver abiurato in nome di future scoperte scientifiche. Eppure Bertolt Brecht stesso, abituato a modificare persino ad ogni recita le sue opere, secondo le circostanze, fu a lungo incerto tra il considerare Galileo un eroe astuto, che fingendo l’abiura riesce a eludere la censura della Santa Inquisizione (diffondendo così la verità in un mondo immerso nell’inganno e nell‘ignoranza), o il rappresentante degli scienziati moderni, rei di aver collaborato con i poteri politici e di aver così favorito un uso distorto della scienza, a danno dell’umanità e non a suo favore.

Galileo Galilei.

Autore di un breve saggio in prosa intitolato "Cinque difficoltà nella scrittura della verità" (1935), Brecht da vari anni rimuginava di occuparsi del tema principale del Galileo, ossia il problema della lotta tra la verità (scientifica) e la menzogna (politica, religiosa). Il Galileo brechtiano messo in scena da Antonio Calenda ha cercato di bilanciare i due giudizi opposti, senza cioè dover rinunciare a mostrare le responsabilità della scienza addomesticata dal Potere, simboleggiato dalla Santa Inquisizione, né le ragioni forti che guidano l’istinto di sopravvivenza di un essere umano. Ne è risultata un’interpretazione, da parte di Franco Branciaroli, talora macchiettistica, ma in ogni caso godibile, tenuto conto del fatto che questo tipo di teatro, teatro di parola, di concetto, filosofico, sul palcoscenico tende a soffrire di una eccessiva staticità, che solo una dinamizzazione del linguaggio, come Branciaroli ha saputo fare, riesce a rendere apprezzabile.

Il pubblico trentino sembra aver gradito sia lo spettacolo, sia la lezione.

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