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I tartassati

La guerra santa contro l’equità fiscale.

Iprimi tormentati tentativi del governo Prodi di modernizzare il settore delle professioni e di rendere più difficile l’evasione fiscale hanno suscitato, presso i sedicenti torteggiati, una furiosa indignazione che finora ha fatto più rumore dei mormorii soddisfatti di chi ha sempre dovuto pagare tutte le tasse e per giunta ha subìto gli avidi capricci dei profittatori dell’euro. E’ un susseguirsi di manifestazioni di rabbia e di accorate lamentazioni. E dietro a tutto, la sconvolgente domanda: ma faranno mica sul serio?!

E’ un moto scomposto, contraddittorio: il barista evasore intervistato su Repubblica dice che se non avesse sempre dichiarato appena la metà dei suoi redditi sarebbe fallito. Ma neanche un Berlusconi ubriaco avrebbe mai potuto dimezzare le aliquote fiscali; e poi, che fine ha fatto San Libero Mercato, che solo dovrebbe decidere chi può sopravvivere e chi no?

I leghisti vanno davanti al Commissariato del Governo a sfasciare a picconate dei registratori di cassa: protestano contro la norma che punirebbe con una prolungata chiusura gli esercenti recidivi nel non battere lo scontrino. Un fenomeno che sembrerebbe piuttosto diffuso, visto che – ad esempio – i ristoratori trentini dichiarano un reddito medio di 20.000 euro. Sembra ma non è, e ce lo spiega Gianni Bort, presidente dell’Unione Commercio, che parla di “piccoli e microesercizi che lavorano tre mesi l’anno… notevoli ammortamenti e oneri finanziari… crisi che sta investendo il settore” e via piangendo. Anche i dentisti non conoscono l’evasione. I redditi dichiarati possono sembrare bassi, ma si tenga conto che la loro “è una professione difficile, faticosa. E non siamo i professionisti che guadagnano di più. Abbiamo spese enormi”. E in aggiunta, “ogni governo che si insedia controlla per primi sempre i dentisti”.

I commercialisti, anch’essi davanti al Commissariato del governo, protestano contro alcune nuove regole con effetto retroattivo e contro il divieto di pagare in contanti, definito “un’odiosa discriminazione”. “La misura è colma” – strillano, e già che ci sono polemizzano coi notai, “che secondo molti manifestanti godono di troppi benefici e concessioni”.

Ma anche i notai (i più ricchi in assoluto, con un reddito medio di 922.000 euro) sono in rivolta: contro il decreto Bersani, che dovrebbe aprire le porte alla concorrenza e alla pubblicità. Ma il presidente dei notai di Trento e Rovereto, Piero Avella, non ci sta: noi siamo anche pubblici ufficiali – dice – e dunque il decreto non deve toccarci. Comunque sia, la categoria vuol mantenere il numero chiuso (e, di nuovo, tanti saluti al libero mercato!). Non certo, come provocatoriamente insinua il cronista, per dividersi fra pochi la torta: “Il numero chiuso serve per mantenere alto il livello della categoria… Io ho passato la mia gioventù sui libri”. E ancora: “La guerra sui prezzi andrebbe contro la deontologia… Ci ritroveremmo a fornire un servizio più scadente”. Un principio notoriamente valido solo per i notai, non per idraulici o parrucchieri.

Guadagnano troppo? E’ un’illusione ottica: “Ci sono altre categorie professionali che… guadagnano quanto noi ma dichiarano meno” spiega Paolo Piccoli. E un altro notaio, Flavio Narciso, taglia la testa al toro: “Abbiamo fatto una verifica dalla quale è emerso che le nostre parcelle sono più basse rispetto ad altre categorie”.

Purtroppo per loro, il cronista del Trentino, Andrea Selva, coi notai ha il dente avvelenato, reduce com’è da una esperienza sconsolante. Dovendo effettuare la compravendita di un parcheggio ed essendo andato da un notaio, anzitutto si è visto trattare da pezzente per aver chiesto un preventivo dell’atto (“Non è una questione di soldi ma di fiducia” – gli ha risposto con sufficienza la segretaria), e poi ha finito col rinunciare, visto che l’atto sarebbe costato il 20% del prezzo pattuito per la vendita.

Attualmente, ricorda Selva, per la compravendita di una casa da 280.000 euro, al notaio ne vanno 2.000 (più tasse, bolli, e quant’altro); allora, visto che finalmente la cosa è possibile, perché non utilizzare i notai austriaci? A Innsbruck (fa sapere il Centro Consumatori di Bolzano) per quell’operazione che a Trento costa 2.000 euro, se ne spenderebbero fra 30 e 170, più le spese per la verifica dell’atto (a Innsbruck si limitano ad autenticare), che al Centro Consumatori fanno pagare circa 600 euro. Un risparmio di quasi 1300 euro, che però non impressiona il dott. Avesella: “In Austria? A vostro rischio” commenta.

Dalle stelle alle stalle, concludiamo con i pescivendoli, pochi per fortuna, che in Trentino riescono a sopravvivere con 3.700 euro, l’anno. Più che un mestiere, una vocazione.