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QT n. 22, 23 dicembre 2005 Monitor

“La forza del destino”

Una delle migliori opere liriche viste a Trento negli ultimi anni la versione del Teatro di Rovigo della pur improbabile storia di Verdi e Piave. E il pubblico se ne è gustato tutti i 190 minuti.

L’indimenticato Achille Campanile soleva compendiare il suo umorismo nelle "Tragedie in due battute" (esilarante, ad esempio, quella intitolata "Cattivo giuoco": Quattro personaggi giocano a bridge. "Il Tempo: ‘Passo’. La Giovinezza: ‘Passo’. L’Amore: ‘Passo’. La Vita: ‘Passo’. Buttano via le carte. Sipario)". Di altro tenore, ma di eguale profondità sono gli "Omicidi esemplari" di Max Aub: "Lo uccisi perché mi parlò male di Juan Alvarez, che è mio caro amico e perché mi risulta che quanto diceva era tutta una menzogna".

Susanna Branchini (Leonora).

In risposta a Leonora che a proposito di un uomo "che giace spento" gli chiede "Tu l’uccidesti?", nel IV atto della Forza del Destino di Verdi-Piave-Ghislanzoni, così Don Alvaro riassume la propria tragedia: "Tutto tentai per evitar la pugna./ Chiusi i miei dì nel chiostro./ Ei mi raggiunse, m’insultò, l’uccisi". Tragedia in due battute.

Nel melodramma ogni personaggio cova, sviluppa e porta a maturazione la una propria tragedia: anche Leonora espone in sintesi al Padre Guardiano il proprio tragico percorso esistenziale (fino a quel momento): "Infelice, delusa, rejetta,/ Dalla terra e del ciel maledetta,/ Che nel pianto portatavi al piede,/ Di sottrarla all’inferno vi chiede". L’opera è "facile": per quanto infarcita di inverosimiglianze, forzature, demagogici ammiccamenti e sdolcinatezze indigeribili, piace, affascina, strappa gli applausi. Perché? Sarà la forza della musica, sarà l’energia degli interpreti, la potenza evocativa delle scenografie... "La Forza del Destino" in scena qui a Trento sabato 26 novembre il pubblico se l’è bevuta, centellinandosela, fino all’ultimo minuto dei suoi ben 190 complessivi, diluiti in 4 atti.

Carlo Kang (Carlo).

"Perché nessun s’annoi - scriveva Lorenzo da Ponte nelle sue ‘Memorie’ - è bene che le arie si susseguano cercando la massima varietà di passioni, e mai facendo cantare di seguito due arie che parlino degli stessi affetti; ma l’ira succeda al languore, il trionfo allo sperdimento". "Sospensione di incredulità" si chiama l’atteggiamento che allo spettatore (o lettore) si richiede nel porsi di fronte ad un testo, recitato o scritto. Si tratta di un tacito e necessario accordo fra l’autore/il regista/l’attore, e il loro destinatario, che è invitato ad accettare una trama anche stravagante, fantastica, a condizione che sia minimamente plausibile. Per questo tolleriamo "una trama con buchi così grossi da poterci passare attraverso con un’automobile, fraintendimenti mortali che avrebbero potuto essere sistemati in cinque minuti e lunghe sezioni in cui non succede veramente nulla" (D. Pogue, S. Speck).

E poi, lo spettacolo prodotto dal Teatro Sociale di Rovigo (in collaborazione con i teatri Goldoni di Livorno, Verdi di Pisa, Alighieri di Ravenna, Comunale di Modena, dell’Opera Giocosa di Savona, con l’Operafestival di Bassano del Grappa e il Centro S. Chiara di Trento) è attraente: suggestiva scenografia di Alfredo Troisi - più gotica che tardobarocca, come l’epoca dell’ambientazione (1740 circa) suggerirebbe -, cantanti di qualità, orchestra e direzione attente, regia e coreografie piacevoli, soprattutto dopo il primo atto.

Il pubblico ha retto bene la maratona, e proprio grazie alla qualità espressa dai vari comparti menzionati. Certo, de gustibus non est sputazzendam, diceva il principe de Curtis: a qualcuno non sarà piaciuto il vibrato di Susanna Branchini (Leonora), la perfida cattiveria di Carlo Kang (Carlo), la necessaria gigioneria di Paolo Rumetz (Melitone), l’ostentata leziosità di Tiziana Carraro (Preziosilla), la quale -se proprio ci vogliamo concedere un rilievo negativo - seguiva troppo insistentemente con lo sguardo (a differenza dei suoi colleghi, più discreti) il direttore Lukas Karitynos, risultando in tal modo un po’ scollata dal personaggio; tuttavia, nessuno avrà messo in dubbio le loro doti canore.

Tiziana Carraro (Preziosilla).

Voci nitide e potenti hanno infatti esibito gli stessi Branchini e Kang, così come Keith Olsen (Alvaro) e Riccardo Zanellato (Guardiano). Il Coro del Teatro Sociale di Rovigo, diretto da Giorgio Mazzucato, ha riscosso a scena aperta quegli applausi negatigli nel finale dalla presenza sul palco dei soli interpreti principali. Piacevole è risultata anche la coreografia ideata da Claudio Ronda e interpretata dai ballerini della Compagnia Fabula Saltica; molto suggestiva ci è parsa l’illuminazione, con indovinati giochi di luci attraverso finestre e facciate di chiese. Adeguati i costumi, curati dallo stesso regista, Pier Francesco Maestrini, che certamente può dirsi soddisfatto del suo lavoro, uno dei migliori visti a Trento negli ultimi due anni.

Una messa in scena tradizionalista, si potrà obiettare: ma è sempre meglio celebrare così una funzione teatrale, piuttosto che tradire il testo con le ben note forzature con cui al giorno d’oggi a tutti i costi si suol perseguire l’originalità. Un esempio di ciò, è l’impiego di immagini proiettate sul fondo del palcoscenico che, se aiuta la scenografia in molti casi, in questa Forza del Destino ad essere sinceri ha disturbato l’ascolto del preludio con un effetto didascalico-televisivo a nostro parere discutibile. Qualcuno si è mai lagnato del fatto che il preludio fosse "soltanto" musicale?

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