Bob Dylan
Il concerto a Bolzano di un mito: invecchiato, ma sempre mito.
Arriva questo vecchietto rinsecchito e ce le suona. A tutti quanti, grandi e piccini. Lui ha avuto delle noie: alla schiena, dice qualcuno. Niente chitarra. Tutto il concerto al piano.
Spazzolata di rock’n’roll. Il primo originale amore. A incontrare Elvis a 15 anni non ne vieni più fuori. La prendi larga, ci giri attorno, ma torni lì. In senile senescenza, il mito si è ricollegato all’adolescenza. Rivisita la Highway 61 in motocicletta. Una corsa elettrica a duecento all’ora.
Il suono è un insulto, una rapina. Va meglio quando le chitarre elettriche la piantano di fare gli ottovolanti e i tecnici si danno un mossa con la roboantizzazione. "Non preoccuparti, va tutto bene" - gracchia la cornacchia. Se l’indemoniata Linda Blair avesse cantato, l’avrebbe fatta così. Ci metti un po’, ma quando ti pare di capire che è tutto finito ora, bambina triste, ti si rizzano i capelli in testa di pelle d’oca.
Ehi. Sveglia, è il 2003, le cose cambiano. In peggio? Ha la voce strozzata? A me suona incazzata. Mi piace. Vecchio gufo annichilito, sempre più rabbioso. Ebreo errante in giro per il mondo, di qua e di là con le sue prediche allucinate, le paternali infinite, le storie marce, le solite denunce, le beghe con le donne, le risposte nel vento. All along the Watchtower. Avanti e indietro, sotto e sopra lo sconfinato repertorio.
Davanti al sipario blue velvet è tutto sfondo, tranne lui. E’ lui, l’interprete. Protagonista di un lungo film. Un serial a puntate di voci, copertine, chitarre/armoniche, parole, traduzioni, canti, RayBan, immagini, sogni, visioni, delusioni, New York, Minneapolis, Newport. Da Woody Guthrie a Robert Johnson, dai Beatles a Elvis, un continuo progresso all’indietro.
Il cugino americano. Uno di famiglia. C’è sempre stato. Presente a tutte le feste comandate. In piazza, per le strade, nelle case, negli happening, con la luna e i falò. Lì a fianco, o ad aspettarti in stanza. Nel Greenwich Village di otto metri quadrati dietro la porta. E adesso è lì, a otto metri lineari. Barbagianni di carta vetrata. E’ un sacco che ci conosciamo. Vai avanti che ti vengo dietro col ritornello, se me lo ricordo.
Abbiamo confuso il karma, il peso delle azioni di una vita, con quello che ci abbiamo visto noi. Nessuno è mito solo per quello che fa. Siamo noi che lo facciamo mito per quello che è. Una voce, un corpo, un suono, un ricordo, un’aspettativa? Bob Dylan è un’iperspazio sconfinato. Occhio che ne sparo una seria: "Un figura la cui influenza sul Novecento ha trasceso il campo in cui si è mosso".
Va bene così? L’ho copiata.