Che occhi grandi che hai
I fondali dei mondi impossibili, il riso e la paura negli spettacoli di Nino Pozzo. A Verona fino al 22 giugno
L’obiettivo fotografico ha fermato frammenti di tempo e spazio nelle invenzioni del teatro di burattini di Nino Pozzo. Intorno ai laboratori e agli spettacoli organizzati dal centro Internazionale di Fotografia di Verona, fino al 22 giugno, sono nate alcune considerazione intorno a ciò che si considera infantile o adulto.
Perché ci sia storia è d’obbligo una certa distanza: solo allora ogni immagine storica può diventare surrogato di una totalità colta attraverso un colpo d’occhio. Intorno all’infantilismo o meno della società attuale, diversi i segnali e le chiavi d’interpretazione. Solo da poco si parla di diritti dell’infanzia, diritti che si riducono non poco con l’età del lavoro. In primis la protezione e l’amore; segue il diritto al gioco come forma unica e straordinaria di conoscenza.
In forma di viaggio possiamo notare come diversi per tutto il corso del Novecento siano stati i tentativi tesi a spezzare le catene del vivere, a far saltare le regole e le norme borghesi (il primato delle leggi dell’economia) ricordando che la forma prima del Sociale è l’ingiustizia.
Non si conosce una volta per tutte e, dove forte si avvertì la presenza del Dogma, raffiche di vento purificatore e rigeneratore provarono ad abbattere la desolazione dell’adultità. Cominciarono i Futuristi a voler svecchiare: venne teorizzata la modalità dell’incendio doloso, ma si passò all’incedere "leggero leggero leggero leggero" dell’uomo di fumo di palazzeschiana memoria. Tanta fu la forza di questa leggerezza che il verbo dilagò fino alle ultime propaggini dell’Europa; poi venne l’America, i giocattoli della tecnica si fecero sempre più ricercati e allo stesso tempo più crudeli (s’iniziò a usarli nei bombardamenti di città). E poi tutti gli altri ismi, la destrutturazione del linguaggio, l’informale, il concettuale, etc., e più il colpo sembrò mettere al tappeto l’Auctoritas, più quest’ultima si fece sordida. E il ’68, l’insofferenza e l’ansia di libertà di contro alla volontà di potenza e di consumo, il Vietnam fino ai conflitti di questi giorni, la concentrazione della ricchezza in poche mani e quelli che oggi "resistono resistono resistono" di fronte all’ordine costituito, all’accettazione passiva della "verità".
L’arma della derisione continua nei confronti di chi si oppone non prevede lo sberleffo di ritorno, l’"omerica risata" già prevista da Nietzsche, l’infante pericoloso folle che guarda al mondo non come cosa in sé tanto esso è privo di senso.
Chi l’adulto e chi l’infante? La ragione che smaschera la beffa, l’arma dell’ironia, il contrario quindi del senso comune e del trombonismo sono prerogativa di chi? Scriveva Savinio che Nietzsche diffidava dei pensieri che si formano stando in poltrona; per Henri Michaux "gli sbagli di un bambino fanno la sua genialità". Tra Palazzeschi e D’Annunzio senza ombra di dubbio Palazzeschi. La meravigliosa sobrietà dell’ubriaco di certo rispetto all’atroce ubriachezza del sobrio: anche Georg Simmel sembra essere d’accordo con noi. E l’impegno civile, l’eversività di fronte alla stupidità del potere (vi ricorderete di Luigi Pintor morto pochi giorni fa tra ancora altri due giorni? Fatelo, ve ne prego!), l’esperienza della cultura e dell’arte "per non perire a causa della verità" (Nietzsche) contrastano comunque fortemente con il corso della storia in cui si afferma il pensiero unico, la grande ipocrisia di ciò che si dice e di ciò che si pensa.
Lo stupore è quello che rimane dell’infanzia. E’ possibile stupirsi di quelli che non avvertono il problema della dignità della persona? Siamo infantili nel senso che non accettiamo il fatto compiuto oppure siamo adulti quando, dopo lo stupore, recuperiamo quella categoria morale aristotelica dell’assennatezza definita da Gadamer come "la capacità da parte di una persona di collocarsi pienamente nella concreta situazione in cui altri deve agire", quando avvertiamo l’eleganza dell’intelligenza, quando sentiamo e comprendiamo la pluralità dell’esistenza?
Cos’è l’adulto: il peso di un fardello, l’ordine costituito, la morale, il valore, il denaro, l’organizzazione unica dell’esperienza o un pittore particolare che ha diritto al suo paradiso?
Cosa rimane di un secolo appena trascorso e della quotidianità in cui siamo immersi? Qualche soldo in più, tanti morti in più per fame e guerre, il giocare sporco con la sofferenza, il risentimento dei tanti nei confronti degli oppressori o il prestare ascolto a quella contro-voce potente che da qualche tempo a questa parte vuole agli altri dar voce?