Bandiera austriaca e polemiche retrospettive
La bandiera austriaca a fianco del tricolore il 4 novembre: un’ottima idea. Contro un’identità nazionale fondata sulla guerra.
Buona, anzi ottima, l‘idea di Lorenzo Dellai di issare, il 4 novembre, accanto al tricolore della Repubblica italiana anche la bandiera austriaca. Non solo perché ora c‘è l‘Europa che ci accomuna, il Trentino collabora da anni con l‘Austria, molti trentini morirono combattendo dall‘altra parte. Sono, queste, tutte motivazioni di per sé convincenti. Ma ve ne è una che le travalica tutte. Io non credo che l‘identità di un popolo debba essere ricercata nelle guerre combattute, vinte o perse che siano. Anche quella che sconvolse l‘Europa negli anni dal ‘14 al ‘18 del secolo scorso fu soltanto una immane tragedia.
E‘ vero che portò all‘annessione del Trentino all‘Italia, coronando i sogni di Cesare Battisti e degli irredentisti che pagarono con la vita la loro passione patriottica. Ma a quasi 90 anni di distanza, in un mondo che è passato attraverso la seconda conflagrazione mondiale, che ha sperimentato gli anni dell‘equilibrio del terrore e della guerra fredda, che è ora alle prese con il terrorismo islamico e la guerra preventiva, attardarsi in polemiche così remotamente retrospettive è indice di un infantilismo sconcertante.
Non mi sorprende l‘intervento del Commissario del Governo, che ha ritenuto suo dovere chiedere il rispetto di una legge ancora vigente che disciplina la materia. Semmai sono stupefacenti gli altri commenti rivelatori di un sentimento che si nutre di una interpretazione acritica di quei lontani eventi. Si continua cioè a trascurare il fatto che il Trentino poteva essere annesso all‘Italia anche senza il sacrificio dei 600.000 caduti in quella sanguinosa guerra. Infatti "il governo di Vienna, nel tentativo in extremis di evitare l‘intervento italiano, offrì, in un memorandum del 16 aprile 1915, la provincia di Trento fino alla stretta di Salorno" (Mario Toscano, Storia diplomatica della questione dell‘Alto Adige, Laterza 1967, pag. 9).
La stretta di Salorno, dunque, esattamente il confine preconizzato da Cesare Battisti. Solo dopo il suo trasferimento in Italia, assorbito dal clima dominante negli ambienti dell‘interventismo nazionalista, anche Cesare Battisti si allineò alla rivendicazione del confine del Brennero, per motivazioni meramente strategiche. E queste furono le aspirazioni che portarono all‘ingresso dell‘Italia in guerra, la conquista cioè dell‘Alto Adige (e Trieste) e non del Trentino. So bene che la storia non si fa con i se, ma con i se la si può giudicare.
A cosa sia servito il "confine strategico" del Brennero è chiaro a tutti: nel secondo conflitto mondiale l‘alleato-invasore tedesco era già al di qua del Brennero. Oggi quel confine strategico non è più nemmeno una frontiera. Cosa abbia comportato l‘annessione dell‘Alto Adige è altrettanto noto: un ventennio di sofferenze per i sudtirolesi oppressi dal fascismo nei loro diritti naturali, terrorismo e triboli per i lunghi decenni della Repubblica, finché non ha prevalso, col nuovo statuto di autonomia, un approccio razionale e civile al problema della convivenza fra popoli con diversa tradizione culturale. Cosa resta da gloriarsi per il 4 novem bre, per quella "vittoria" che ancora oggi ha trovato un eco nel cuore della maggioranza dei cittadini di lingua italiana residenti a Bolzano che l‘hanno preferita alla "pace"?
Certo, la storia di un popolo contribuisce a formarne l‘identità. Le tradizioni si depositano nel suo patrimonio culturale. Ma la storia è un continuo succedersi di negazioni, un alternarsi di opposti, ed in questo inarrestabile processo selettivo si producono anche scarti e rifiuti. Nella storia del popolo tedesco c‘è stato anche Hitler: vi sembra che si possa includerlo nell‘identità del popolo tedesco di oggi?
Ed il fascismo fa parte della nostra identità odierna?
Vi è un retaggio in ciascun popolo del quale è segno di civiltà sapersene liberare. La piazza della Pace a Bolzano, le due bandiere sul castello del Buonconsiglio a Trento, sono stati due tentativi di farlo. Sono falliti, bisogna prenderne atto. La situazione non è ancora matura.
Questo ritardo culturale di massa è forse anche una spiegazione della crisi in cui versa la sinistra.
Ne è la causa o ne è l‘effetto?