Democrazia contro odio
Modernità non deve significare minor partecipazione alla cosa pubblica.
Non ci sono problemi drammatici in Sudtirolo questa settimana: tutto sembra ridimensionarsi di fronte allo schianto degli aerei omicidi sulle torri di New York, di fronte alle migliaia di morti, al pericolo di una guerra immensa. Ma ognuno ha il compito di andare avanti per respingere l’irrazionalità dell’odio sanguinario, per difendere la libertà, la giustizia, la democrazia. Che non esistono, ma che per una parte dell’umanità sono gli obiettivi esplicitamente dichiarati e perseguiti, e questo è già molto. Dunque, la democrazia.
Nel Sudtirolo in cui le feste private diventano pubbliche, e in cui si scimmiotta bonariamente il culto della personalità, ogni tanto qualcuno ripropone la questione della democrazia. Il pellegrinaggio dei cittadini all’alba davanti a palazzo Widmann è un segno di apertura del presidente della giunta verso il popolo o un segno della mancanza di un rapporto corretto fra amministrazione e cittadinanza? Le salve degli schioppi degli Schützen passati in rassegna dal presidente come un piccolo manipolo di milizia speciale una mattina di compleanno nella (orribile) piazza asfaltata davanti al Consiglio provinciale sono un divertente esempio di folklore o la dimostrazione dell’irrimediabile arretratezza democratica del pensiero diffuso? La mancanza totale di autonomia dei municipi nella terra dell’autonomia quasi indipendente è un prezzo da pagare? E per avere cosa in cambio? E via dicendo.
Nell’euregio della comunicazione ognuno può giudicare. Ma il Sudtirolo non è un’isola e i problemi sono purtroppo e per fortuna comuni a molti. In Europa in generale i parlamenti nazionali e locali sono in difficoltà a svolgere il loro ruolo di interpreti della voce del popolo. E il rafforzamento delle competenze degli esecutivi locali (province) ha indebolito le assemblee legislative locali. Nuovi enti o agenzie cercano di sostituire i naturali luoghi di formazione del volere popolare. I media sono fra coloro che stanno prendendo un posto di rilievo nel mediare (appunto) fra popolo e potere, influenzando anziché riflettendo le opinioni della gente. Ma sono credibili come garanti della voce del popolo? In Sudtirolo sono allineati etnicamente o spartiti politicamente, in difficoltà se tentano la strada dell’indipendenza; di proprietà sfacciatamente faziosa uno fra i più potenti. Poi ci sono le organizzazioni non governative, che nel mondo stanno dando prova non solo di saper dare una mano indispensabile alla soluzione di problemi sociali di enorme rilievo, ma anche di saper parlare spesso interpretando aspirazioni e opinioni di parti significative della società.
In Sudtirolo le associazioni sono in gran parte finanziate dall’ente pubblico, che si dimostra apertamente vendicativo nel caso di dissidenze manifestate in modo esplicito. Un terzo intermediario è costituito dai partiti-apparato, ormai succeduti ai partiti tradizionali. Lo sfacelo politico del Trentino (che in Provincia di Bolzano è solo meno appariscente, velato dalla presenza di un partito dominante con un obiettivo prepolitico (la conservazione dell’unità della minoranza) trova un elemento di amara chiarificazione nelle parole di Ralf Dahrendorf, amburghese, studioso di sociologia e politica, oggi membro della Camera dei Lords. "Gli intermediari (cioè coloro che cercano di sostituire i parlamenti in crisi e i partiti tradizionali nella "mediazione" fra il potere e il popolo) a più alto rischio - scrive - sono i partiti-apparato... sganciati dalla base democratica, e dunque molto più irresponsabili. (…) Per questi apparati, a differenza dei partiti tradizionali, le elezioni non sono più uno strumento per dar vita ai Parlamenti, ma piuttosto per assicurare posizioni di potere a chi ne fa parte o li dirige". Senza voler ricondurre la crisi della democrazia esclusivamente a questi aspetti, chi si occupa di politica in modo attivo (e in qualche modo dovrebbero farlo tutti) ha come suo compito quello di trovare modi e forme perché il popolo possa esprimere la sua volontà e possa determinare la decisione politica. E’ giusto sperimentare nuove forme di partecipazione al dibattito e alla decisione, se non altro perché di fatto ciò sta avvenendo già, ma chi scrive crede che fra le cose da fare ci sia quella di restituire ai parlamenti nazionali e locali la loro funzione di luogo dove si prendono le decisioni in trasparenza, nel confronto fra le posizioni e nel contemperamento degli interessi del popolo rappresentato. Le forme che ha preso la democrazia liberale forse lasciano a desiderare, ma finora non sembra che la frantumazione dei soggetti che governano sia in grado di garantire maggiore democrazia. Certo esistono anche molti che teorizzano che si può rinunciare ad un po’ di democrazia. Chi scrive non è fra questi. Al contrario. La pace nel mondo è legata ai diritti di tutti e di tutte, che non possono diffondersi o essere negati a discrezione dei padroni di questo o quello Stato, ma sono un principio irrinunciabile dell’umanità. Perciò è necessario ricostruire gli strumenti della formazione della volontà del popolo, che non possono essere i sondaggi di opinione o le apparizioni alla TV, ma che non sono più neppure le discussioni sulle strategie, unico tema dei partiti-apparato. Nuovi luoghi si devono costruire insieme a chi sente il bisogno di partecipare alla vita pubblica, prima che sia tardi e più nessuno ne senta la necessità.