Il mostro sacro
Prima esecuzione dopo il restauro dell'organo della Sala Filarmonica a Trento (esecutore Giancarlo Parodi). Grande successo; solo il vostro recensore...
Maestoso e solenne, l’organo domina la sala. Le canne sono tornate a splendere e non sono più piegate e piagate. Il restauro ha ridato al prezioso strumento il suo aspetto da Leviatano.
Una volta scoperta la tastiera, il marchingegno risulta ancora più sorprendente. Il numero di tasti, pedali e manopole intimorisce. Giancarlo Parodi entra accompagnato da un assistente, sembra quasi arrampicarsi sulllo scranno e senza indugio comincia a suonare. Si comincia con Camille Saint-Saëns e la Fantasie op.157. Ma, in rapida successione, vengono snocciolati anche il brano di Marco Enrico Bossi, Ländische Szene op.132 n.3, e quello di Flor Peeters, Vlaamse Rhapsodie op.37. Il maestro Parodi si volta alla fine di ogni brano, ruotando sul sedilone. Non si concede a lungo agli applausi sonori del folto pubblico presente in sala. Se il brano di Saint-Saëns è poco più che un giro di riscaldamento, un divertissement breve, e le Ländische Szene disegnano un paesaggio sospeso e affascinante, la rapsodia di Peeters mette alla prova la concentrazione del pubblico, esponendo scopertamente la caratura del mattatore della serata. Sfugge se si tratti più dell’uomo o dello strumento.
Nella seconda parte del recital la Toccata y Villancico di Ginastera ribadisce il punto raggiunto prima dell’intervallo, sfidando in concettualismo la Passacaglia op.29 di Sostakovic. La tensione si alleggerisce con le variazioni sull’inno americano di Charles Ives. A concludere con un lungo delirio di Frygies Hidas, Andante e Allegro.
Tutti gli astanti apparivano deliziati, ed hanno giubilato nel vedersi concedere un bis, scherzosamente inneggiante all’amor patrio. Confesso la mia ignoranza: di tutto questo sfoggio di maestria esecutiva, a me è piaciuto solo il brano di Ives. Il suono prodotto dalle canne dell’organo mi induce a riconsiderare con simpatia le melodie dei giochini elettronici. Seppure impressionata dalla potenza dei bassi, che faceva tremare i vetri della sala, ho avuto per tutto il tempo l’impressione di trovarmi dentro il sogno da indigestione del fantasma dell’opera e sono scappata via appena ho potuto.