“Parole a dei tu”
Marco Morelli, Parole a dei tu. Ed. Stella, Rovereto-Trento, 2000, pp.140 , £.15.000.
"Che fare tra noi / se non conversare?" E così in questa raccolta, "Parole a dei tu", le parole poetiche di Marco Morelli si snodano leggere, gaie, vibranti, tenui. Scabre e nude. Sospese, erranti. Soavi. Umanissime. Intensive e primigenie. Escogitate. Distillate, tritate, pressate. Filate, intessute, annodate. Inermi. Ultime. Arroventate. "Vampante fioritura la parola / e ricettacolo di serpi, / melodia di flauto e rauco abbaiare." "Sabbia / scagliata contro vento?", e "voci sillabate", "sillabe spezzate".
Manca a noi italiani, da sempre, lo scriveva Giacomo Leopardi, il gusto della conversazione. E oggi, globalizzati, "dentro la società tecnologica, tecnocratica, telematica", che senso può avere l’affidare parole poetiche, bottiglie nel mare, a lettori assediati da un "vociare della sagra del nulla"?
Ma i poeti ritentano perché, nel fondo, anche quando descrivono deserti e tempeste, conservano una fiducia residua. Consapevoli, come Freud, che la parola è "filo" che unisce, e "ferita" che taglia. Parlare è comunicare: "Un gomitolo ogni parola / nel labirinto distende il suo filo / e reti annoda alle memorie". Ma parlare è anche separare e isolare: "Ferire ci possono / nel dire o tacere / solo quelli che amiamo".
Sono voci, quelle del poeta e sacerdote trentino, appoggiate ai sensi del corpo: agli occhi, alle mani, agli orecchi. La conversazione è gusto e profumo. La poesia vorrebbe farci recuperare l’aura sacrale della cultura orale, trasportandoci a prima della multimedialità, della stampa, a prima della scrittura addirittura.
L’autore ci suggerisce lentezza: "Penso che per leggere una poesia ci vorrebbe quasi altrettanto tempo che per scriverla. […] Una parola in più o in meno dà forma ad una poesia". A contatto con la poesia siamo chiamati a sperimentare un altro spazio e un altro tempo. La parola e lo sguardo, la voce e il volto: Morelli è poeta, scultore, e educatore, ogni giorno di fronte ai giovani d’oggi. "Tornino i volti", era il titolo della mostra recente a Villalagarina, di opere raschiate nel legno, colate nel bronzo, modellate nella terracotta.
Ma i volti degli uomini, nella parola, nel gesto, ci vengono incontro sempre accompagnati dai dorsi. Persino Dio si rivela e si nasconde, parla e tace, ha un volto e un lato sinistro.
"[…] a noi è dato /di far fiorire il mondo." Sarebbe questo il compito degli uomini nella storia: ma l’esito è troppo spesso un "franare dei giorni", una "valanga di detriti", e "cimiteri sterminati di croci". Le costruzioni attorno a cui l’uomo si arrabatta, "scienza, legge, economia", appaiono "rudi e severe, maestose e altere". La storia è forse cieca e caotica: "urto di biglie?" Talora alla minaccia succede un barlume di speranza, al piangere il cantare, al tramonto l’aurora. Vediamo anche sforzo, un navigare impegnato contro corrente, come mostra il bellissimo bronzo di copertina. Però la sensazione dominante è che la storia è "non di vita maestra / ma di disperazione".
All’uomo credente, nella modernità secolarizzata, è concessa solo una "incerta fede": "perché ti parlo se non rispondi?" Dio ha cessato di essere onnipotente: "Dominatore non ti penso"; "Tutto accade / come se tu non ci fossi"; "E tu taci lontano al di là".
Tuttavia, a me pare, c’è un nodo irrisolto nel pensiero di Marco Morelli. Quel "come se tu non ci fossi", l’"etsi deus non daretur" di Dietrich Bonhoeffer, non è la presa d’atto dell’uomo adulto, chiamato nella modernità a vincere e a perdere, a vivere e a morire, umile e responsabile, al fianco di tutti gli altri uomini. E’ ancora un grido di dolore, di protesta, di rimpianto, del credente deluso. Nell’entropia dilagante, si domanda, e si risponde: "Verrà il tuo vento a sollevare i cocci / contro la luce / a comporre una vetrata / d’estasi / inestinguibile?". E’ anche un grido d’accusa, perché la fede sarebbe "immenso dono a tutti".
Il credente sembra, in questi momenti, rinserrarsi in una sua intima torre, "se tu manchi / in cupa nebbia è naufrago il pensiero", per guardare sulle tempeste e sul deserto "al chiarore di un’impervia feritoia". Dio ridiventa un "tappabuchi" premoderno: ma così il dialogo difficile con i "tu" della modernità rischia di incepparsi irreparabilmente.
Perché è difficile ammettere che molte religioni sono vere? Il Giobbe ebraico, "Perché immobile taci / e lasci accadere?", non annuncia il Gesù dei cristiani, "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". C’è verità nei cercatori di Dio, e c’è verità negli agnostici. C’è verità anche in chi il "dono" responsabilmente rifiuta: l’ateo ha una missione da compiere. Il cristiano ha bisogno di sentirsi ricordare, con furia, anche da "altri", che nella storia è "insegna d’assalto la croce".
La "campana" del venerdì santo è in Marco Morelli, come in Manzoni, "grido" che libera e redime. Ma mentre la ascoltiamo non possiamo ormai dimenticare altre "campane" che a un tratto furiosamente scattano "lanciando verso il cielo un urlo atroce". Sono doppi pensieri, Manzoni e Baudelaire, in cui saremo per sempre intricati.