Sono qui per aiutarti, Thelma
Thelma è una ragazza americana vittima di violenze in famiglia. Ecco la storia della nostra amicizia nata e cresciuta su Internet.
La scoperta del chat. Non avevo mai utilizzato il chat su Internet. Qualche volta ero entrato in una chatroom, ma non riuscivo a capire chi stesse dicendo cosa a chi, mi pareva tutto una gran confusione. Mi ero convinto del fatto che i chattisti fossero dei perditempo, e mi pareva impossibile che ci fosse qualcuno che riuscisse a preferire il chat alle meraviglie luccicanti del world wide web.
Poi, quasi per caso, un giorno cliccai sulla parolina "chat" del menu principale di Yahoo. Utilizzavo quel motore di ricerca quotidianamente e così, nello sperimentare i servizi a disposizione, provai anche quello. Notai subito la razionale distinzione degli argomenti, ed il mio interesse andò immediato alle rooms dedicate al computer. Qualche settimana più tardi, trovandomi di fronte ad un problema di software, mi venne l'idea di chiedere aiuto in chat. Inserito un login e una password, scelta una identità, entrai nella stanza dedicata al computer.
C'erano una quindicina di persone. Mi buttai: "Qualcuno dei presenti mi può aiutare ad utilizzare il tal programma?". Mi risposero in tre: Devilminded, Maephisto (macabra coincidenza!) e Buck. Per non disturbare gli altri, creammo una nostra room, e i miei maestri cominciarono con la lezioncina passo passo: "Vai là, clicca lì, inserisci questo parametro... cosa vedi?" In cinque minuti risolsi un problema che altrimenti mi avrebbe richiesto intere giornate di approfondimento. Seppi poi che Devilminded è un programmatore che vive alle isole Mauritius, Maephisto uno di quei giapponesi piccoli geni del computer, e Buck un americano di Seattle impiegato in una azienda che produce software. Insomma: il meglio al mondo in fatto di computer direttamente a mia disposizione, gratuitamente e cordialmente. Da quel giorno, cominciai ad amare il chat.
L'incontro con Babybluejeyes. Dopo alcune incursioni nelle chatrooms di Yahoo, non riuscii a resistere dal mettere le dita nella marmellata. Una delle categorie proposte era Romance, che non capivo esattamente cosa volesse dire, ma intuivo avesse a che fare con l'amore. Le numerose stanze erano occupate da persone intente a fare amicizia, il dialogo sorgeva facile e spontaneo sull'amore, il sesso, il matrimonio, i tradimenti. La cosa affascinante era il poter conoscere la quotidianità di persone che stanno dall'altra parte del mondo, che vivono in società completamente diverse dalla nostra, con tenori e stili di vita a noi sconosciuti.
Dopo diverse chiacchierate divertenti, con ragazze di ogni angolo del pianeta (da New York a Bombay), un giorno mi trovai a chattare con Babyblue_eyes (occhi azzurri).
Fatte le presentazioni (26 anni, Oklahoma, vero nome Thelma), cominciammo come al solito a raccontare la nostra vita. Le dissi, come ormai da routine, del mio lavoro, della mia ragazza, del mio "hobby" da giornalista, della casa che stavo per acquistare, del Trentino e delle sue montagne. Lei mi raccontò di essere una ragazza-madre, con una figlia di otto anni, Louise, di vivere con sua madre Lena, di lavorare nella grocery di suo padre. Finimmo a parlare della sua atrofizzata vita sentimentale.
Una storia terribile. Mi raccontò di essere sola e di non conoscere l'amore. Mi disse di non aver mai fatto l'amore in vita sua.
Rimasi interdetto per diversi minuti. Da dove viene quella figlia? Pensai di essermi trovato di fronte ad uno scherzo, e che chi stava dall' altra parte si fosse tradito. Chiesi spiegazioni e la risposta fu una sorpresa drammatica.
Un po' alla volta, mi raccontò quanto le era accaduto otto anni prima.
All'età di 18 anni Thelma aveva un ragazzo, di dieci anni più vecchio. Lui voleva portarsela a letto, ma lei, giovane e profondamente credente, non voleva cedere alla tentazione. Un giorno, però, innamorata del suo ragazzo, decise di concedersi. Andarono a casa di lui, si ritrovarono in camera da letto. Lui era eccitatissimo all'idea di poter avere finalmente l'oggetto dei suoi desideri. Ma mentre stavano per spogliarsi, Thelma, impaurila, cambiò idea e si tirò indietro, nonostante le insistenze di lui, che a quel punto la prese con la forza, le tappò la bocca con le mani, minacciò di strangolarla se non avesse ceduto, la spogliò. Lei rimase terrorizzata, ammutolita, paralizzata. E lui la violentò.
Mentre vedevo comparire sul mio schermo, lentamente e una dopo l'altra, quelle parole in inglese, provai rabbia e dolore. Non sapevo cosa dire. Mi venne solo, spontaneo, dal fondo dello stomaco, uno sfogo di rabbia: "I figli di puttana come quello lì, io li castrerei".
Eccoti! Quel racconto mi lasciò un segno. Per numerosi giorni non riuscii a fare altro che pensare a Thelma e al dramma che aveva vissuto.
Raccontai questa storia ad Elisabetta, la mia convivente: faticava a crederci, la storia le sembrava così drammatica da essere inverosimile, cercò di insinuarmi il dubbio che si trattasse dello scherzo di qualche buontempone.
Eppure, a me le parole di Thelma parevano troppo vere per poter essere opera di un burlone. Decisi allora di organizzare un incontro a tre, affinchè Elisabetta e Thelma si conoscessero. Intanto, con Thelma ci eravamo scambiati i codici di ICQ, cosicché potevamo ritrovarci facilmente sulla rete e chattare direttamente.
Una domenica pomeriggio avvenne l'incontro. Lasciai per un po' che Elisabetta e Thelma parlassero da sole.
Avevo in casa un atlante stradale degli Stati Uniti, con una mappa dell'Oklahoma. Thelma ci guidò, seguendo le strade dalle città più grosse, fino all'individuazione del suo paesino. 800 abitanti, lontano da grandi centri abitati, circondato da campagne a perdita d'occhio: insomma, il classico scenario della provincia americana. "Eccoti! Ti abbiamo trovato!" le scrivemmo, non appena individuato il paesino sulla pianta. Dopodiché, anche noi guidammo Thelma nell'individuazione di Trento sul suo atlante geografico.
Le spedimmo un file di una nostra foto, un ritratto delle vacanze scannerizzato in casa alla meno peggio. Lei non potè fare altrettanto, non avendo uno scanner. Anzi, per collegarsi Thelma utilizzava un computer vecchissimo (stoneage junk, come diceva, "roba dell'età della pietra") poiché non poteva permettersi di acquistare una nuova macchina.
Per diversi giorni con Elisabetta discussi della novità di questa amicizia. L'esperienza ci pareva elettrizzante, ma la vicenda di Thelma era così drammatica che talvolta il dubbio che fosse tutta una finzione ci assaliva.
Ebbi un'idea. In passato mi era capitato di consultare una sorta di elenco telefonico online degli Stati Uniti. Decisi di utilizzarlo per ve-rificare se in quel paesino dell'Oklahoma esistesse realmente una Thelma Dickinson. Al servizio accedevo ancora da Yahoo, criccando su white pages. Alla prima ricerca, in quel paese dell'Oklahoma trovai soltanto un uomo con lo stesso cognome. Successivamente, mi venne l'idea di provare con il nome della madre di Thelma, che era riportato nel suo profilo su ICQ: bingo! Trovata! Le white pages mi diedero indirizzo e numero di telefono. Poi, con un clic su map it!, ottenni anche la pianta topografica del paese con una croce ad indicare proprio la casa di Thelma. Prodigi di Internet!
Non raccontai a Thelma di questa mia ricerca. Ma ben presto la confidenza tra noi divenne sufficiente per scambiarci i recapiti, e fu così che riuscii ad avere la controprova.
Prigioniera in casa. Continuai a parlare con Thelma quasi quotidianamente. Mi parlava di sua figlia, dei suoi genitori divorziati sin da quando aveva sette anni, delle sue difficoltà a tirare avanti con uno stipendio basso e una figlia a carico.
Un giorno come altri, incontrandola in rete, notai qualcosa di strano nel suo modo di chattare. Mancava quella gioia di incontrarci che entrambi provavamo ogni giorno.
Quando le chiesi, come ero solito fare sempre, come stava, mi rispose che non si sentiva molto bene.
Hal_67: "Perché? Cos'hai?"
Babyblue_eyes: "Niente di impanante, non preoccuparti"
H: "Sicura?"
E: "Sì"
H: "Un giorno mi piacerebbe incontrarti, Thelma "
B: "Oggi non ti piacerebbe"
H: "Perché? Cosa vuoi dire?"
B: "Ho il corpo pieno di lividi "
H: "Ho capito bene? Cosa è successo ? "
B: "Lascia perdere, non ti riguarda "
H: "Ciò che riguarda te riguarda anche me, siamo amici, non lo ricordi?"
B: "Sì, ma non posso dirti nulla"
H: "Ora pretendo che tu mi dica tutto, se vuoi che restiamo amici".
Dovetti insistere a lungo affinchè accettasse di raccontarmi cosa le era successo. Alla fine, dopo avermi fatto giurare che non ne avrei parlato con nessuno, sputò la verità.
B: "Ieri è venuto Timothy, il padre di Louise. Era ubriaco e incazzato, come spesso accade. Abbiamo litigato. Mi ha picchiata. Mi ha riempito di botte. Forte. Credevo volesse ammazzarmi, questa volta. Mi ha dato un pugno in faccia con tutte le sue forze al punto che mi ha gettato a terra. Ero terrorizzata ".
Mentre mi raccontava queste cose, stavo male e mi misi a piangere davanti al computer.
H: "Vorrei abbracciarti, Thelma. Sto piangendo "
B: "Non preoccuparti per me. È il mio destino. Non è la prima volta che succede. Ogni due o tre settimane, quando è ubriaco, viene a sfogarsi contro di me "
H: "L'hai denunciato alla polizia ? "
B: "Sei impazzito? Non posso! Ha minacciato di ammazzarmi se solo dico a qualcuno quello che succede. Ho paura, sono terrorizzata, soprattutto per mia figlia.
Anni fa andai a parlarne allo sceriffo, ma mi disse che per emettere provvedimenti contro Timothy doveva avere qualcosa di concreto. Mi suggerì di chiamare la polizia la volta successiva che si fosse fatto vivo. Ma prima che la polizia arrivi io sarò già un cadavere. Timothy venne a sapere che avevo parlato con lo sceriffo, e per punirmi mi picchiò fortissimo e quasi mi strangolò "
H: "E tua madre, la tua famiglia?"
B: "Non sanno nulla. Prima di venire, lui chiama per sapere se sono a casa da sola. Nessuno sa nulla: a mia madre e agli altri sono costretta a raccontare che sono caduta dalle scale, o che ho sbattuto la testa contro un mobile"
H: "Ma tua madre sa che Timothy ti gira ancora attorno?"
B: "Certo! Spesso viene quando ci sono gli altri, e si mostra così brillante! Gli vogliono tutti bene. Una volta ogni due settimane viene a portarsi via Louise "
H: "Timothy ha qualche diritto su Louise?"
B: "No, nessun diritto legale. Per la legge il padre di Louise non esiste "
H: "Da quando va avanti questa storia?"
B: "Da quando rimasi incinta. Al terzo mese, ci fu il primo scontro duro: mi diede un pugno su un occhio che quasi persi la vista. Al settimo mese mi scaraventò giù dalle scale. Temevo di abortire, sicché decisi di non ribellarmi e di fare tutto ciò che voleva, sperando che si calmasse. E invece, eccomi ancora qui, sua prigioniera, dopo otto anni"
H: "Ne hai mai parlato con degli amici?"
B: "Non ne ho, di amici. Le ragazze della mia età si divertono, non hanno una figlia sulle spalle. E le madri delle coetanee di Louise sono molto più grandi di me e sposate. È Sono sola. Non ho nessuno | con cui parlare "
H: "Ora hai me, Thelma"
B: "Grazie, ma ti scongiuro, non dir niente a nessuno. Se Timothy venisse a saperlo mi ucciderebbe"
H: "Devifare qualcosa per uscire da questa situazione "
B: "Non posso fare nulla, te l'ho già detto! Ma non capisci che la mia vita è in pericolo ? Tutto quello che posso fare è sperare che non mi ammazzi e che un giorno la smetta di tormentarmi "
La famiglia. Da quel giorno, decisi che aiutare Thelma sarebbe stato un mio dovere. Per lungo tempo continuammo a chattare quasi quotidianamente, parlando della sua vita. Cercavo di convincerla ad andare alla polizia, o almeno a raccontare la sua storia a qualcuno. Nel frattempo, riferivo i nostri colloqui ad Elisabetta, ed insieme discutevamo sul come aiutarla. Arrivammo anche a proporle di venire un po' da noi, in Italia, magari anche solo per un periodo, per uscire dall'incubo.
Ogni tanto Thelma si faceva prendere dallo scoramento, mi diceva che non si suicidava solo perché amava sua figlia. Le ordinai di mettersi in testa che, qualora avesse avuto bisogno, avrebbe sempre potuto contare sul suo nuovo amico italiano, per qualsiasi cosa. Queste parole la tiravano su, le davano un po' di speranza. Ma l'inferno continuava.
Una volta arrivai a temere per la sua vita. Dopo l'ennesimo incontro con Timothy, per alcuni giorni mi disse di avere un mal di testa terribile, ogni giorno più forte, al limite dello svenimento. Pensai ad un ematoma e le consigliai di andare da un medico. Poi non riuscii più a trovarla online.
Dopo diversi giorni, finalmente, ICQ mi mostrò che Thelma era collegata. Dall'altra parte, però, anziché lei trovai suo fratello: mi disse che Thelma era a letto ammalata. Colsi l'occasione per parlare con lui. La chiacchierata mi confermò che la sua famiglia pensava che Thelma fosse sbadata, al punto che, quando rimaneva da sola in casa, incorreva spessissimo in gravi incidenti domestici.
Thelma e sua madre non si volevano bene. Me lo confidarono entrambe. Ma un giorno mi decisi a parlare con Lena, a raccontarle tutta la storia. Avevo giurato a Thelma di tenere la bocca chiusa, ma dovetti decidere fra l'essere fedele al giuramento e l'aiutarla: scelsi la seconda strada. Preparai Lena a quanto stavo per dirle, spiegandole i pericoli di quanto stavo facendo. Dopodiché vuotai il sacco, nella speranza che, vedendo la figlia in pericolo di vita, facesse qualcosa. E invece, quando ebbi finito, mi disse di non credere a nulla di quanto le avevo detto, che Timothy era un uomo eccezionale e che Thelma, se avesse davvero avuto bisogno, avrebbe potuto farsi viva prima. Le chiesi se avesse mai visto Thelma mentre si faceva del male. Non andammo oltre. Ma qualche tempo dopo Thelma mi disse che i rapporti in famiglia erano migliorati. Per me fu la fine di una tensione altissima.
L'associazione contro la violenza domestica. Provavo e riprovavo, ma non riuscivo a convincere Thelma a fare qualcosa per mettere fine alla persecuzione di Timothy. Al contrario, lei era convinta di meritarsi quanto le stava accadendo, poiché quello doveva essere il volere di Dio.
Un giorno, ad Elisabetta venne l'idea di consigliare Thelma di chiamare un telefono rosa, o comunque di mettersi in contatto con una di quelle associazioni che aiutano le donne vittime di abusi. Partii alla ricerca di qualcosa sulla rete. Ma fu più difficile del previsto: non riuscivo a trovare nulla, come se negli Usa queste associazioni non esistessero. Stavo per lasciar perdere, quando mi venne in mente un'ultima possibilità. Mi cambiai il soprannome e il sesso coi quali comparivo nelle chat-rooms, ed entrai in una stanza dedicata al lesbismo. Chiesi l'attenzione di tutte, raccontai brevemente il problema e nel giro di un paio di minuti tutte si precipitarono a darmi consigli e informazioni, in una commovente gara di solidarietà. Ottenni così, tra i vari consigli, il numero del telefono rosa federale, un numero verde, ed un indirizzo di e-mail di una di queste associazioni.
Comunicai a Thelma l'idea del telefono rosa ed il numero di telefono da chiamare. Ma lei non riusciva a trovare nemmeno il coraggio di telefonare. Era bloccata, paralizzata, incapace di reagire alla sua condizione.
Scrissi una mali all'indirizzo che mi avevano dato, mettendomi in contatto con questa associazione contro le violenze domestiche sulle donne con sede nell'Oregon. Iniziò così una collaborazione. Io facevo da intermediario tra Thelma e la presidente di questa associazione, chiaramente molto più esperta di me per casi del genere. Le raccontavo via mail di Thelma, lei mi consigliava sul da farsi, e alla fine io riferivo reazioni e risultati. Andammo avanti così per diverso tempo. Il problema, mi spiegarono, era principalmente nella testa di Thelma: bisognava farle riacquistare fiducia in se stessa e la forza di opporsi a quanto le accadeva.
La principale terapia - mi disse la presidente dell'associazione - doveva consistere proprio nel fatto che io continuassi a parlare con Thelma, che non rompessi quel filo sottile che le impediva di cadere completamente nell'incubo.
A differenza che nella fiction cinematografica, nella realtà la soluzione di problemi come quelli di Thelma richiede molto tempo.
Io continuo a parlare con lei, e qualche lento progresso, con mia grande gioia ogni volta, lo vedo. Ora Thelma segue la terapia di uno psicologo, ha avuto un paio di avventure sentimentali (e la "rivelazione" del sesso, proprio come la Thelma di Ridley Scoti con J.D./ Brad Pitt) ed è sempre meno disposta ad accettare, nella sua mente, il comportamento di Timothy.
In famiglia sta rinascendo un clima di amore (ho riparlato con sua madre e ho raccontato la verità anche a suo fratello e a sua cognata) e Thelma mi dice di essere più serena, sebbene con alti e bassi.
Chissà, forse un giorno la incontrerò.