“7 uomini a mollo”
Francese, ma non eccezionale di Gilles Lellouche
Una parte del pubblico italiano è convinta che le commedie cinematografiche francesi, brillanti o sentimentali, siano infallibilmente migliori di quelle italiane. Io non sono di questa opinione.
Anzitutto perché dalla Francia arrivano in Italia solo commedie selezionate, che hanno riscosso un grosso successo in patria e che si suppone possano incontrare anche il nostro gusto. Se noi scegliessimo i cinque-sei migliori film del genere italiani in un anno, avremmo molto probabilmente una buona competizione col cinema d’Oltralpe. Inoltre i cinefili italiani si riferiscono quasi sempre a film francesi particolarmente brillanti, colti e intelligenti nei dialoghi e negli intrecci che si rifanno a una tradizione che risale fino a Marivaux. Ne è un perfetto esempio “Non fiction” tradotto in Italia con “Il gioco delle coppie” di Olivier Assayas, presentato al festival di Venezia e di prossima uscita. Proprio di questo film, acutissimo nei dialoghi, furbo nella modernità delle tematiche e tradizionale nelle dinamiche delle relazioni, ho parlato casualmente con una selezionatrice francese di film per festival internazionali, facendo la fila ad un’altra proiezione. Esprimendo alcune mie perplessità su questa cinematografia che si rivolge e parla sempre e soltanto di se stessa, ovvero la medio/alta borghesia colta cittadina, ho avuto la conferma che i primi a non poterne più di questo cinema, all’estero tanto acclamato, sono proprio i francesi. Insomma, vale il vecchio adagio: nemo propheta in patria.
“7 uomini a mollo” è, come tradizione, la brutta traduzione di un titolo originale già di per sé non così bello “Le grand bain” (Il grande bagno). La versione originale però è almeno minimamente significativa come totale immersione in una piscina ed in una missione per provare a dare un senso alla propria vita.
Lo spunto e l’arco narrativo sono semplici, già visti e prevedibili, quindi si tratta solo di capire se almeno il loro trattamento risulta gradevole e minimamente originale.
Bertrand è un depresso che non lavora da due anni e vegeta in casa mantenuto dalla moglie. Un giorno, in un frammento di reazione, in piscina vede un annuncio e decide di arruolarsi in una équipe maschile di nuoto sincronizzato. Il gruppo di uomini non giovani, tra i quaranta e i cinquanta, è per lo più un’accolita di depressi, falliti, nevrotici, fisicamente inappropriati a esposizioni in costume da bagno. Con loro anche un cingalese di colore decisamente pingue e che parla solo la sua incomprensibile lingua. Tra gli altri: l’adirato Laurent, l’indebitato Marcus, il complessato Simon e il fallito Thierry. Ad allenarli Delphine, ex campionessa di nuoto sincronizzato a coppia, con una carriera passata interrotta bruscamente dall’incidente alla sua partner.
Delphine allena la squadra maschile per passare il tempo, per provare a chiudere col passato e per reagire all’alcolismo in cui è caduta col fallimento delle sue aspirazioni sportive.
I suoi allievi non stanno molto meglio e sono oggettivamente un disastro come atleti. Intervengono però un paio di fatti che portano tutti a una reazione imprevedibile.
Buchi e salti di sceneggiatura, comicità a tratti, superficialità dei caratteri, personaggi di contorno nemmeno minimamente sviluppati, compongono un film ben recitato da attori senza dubbio bravi, ma discontinuo, con momenti apprezzabili e altri fin troppo prevedibili.
Che il riscatto parta da un obiettivo comune che prevede il coraggio di mettere a nudo corpi non certo perfetti per una disciplina ad appannaggio della donne è però uno spunto lodevole, che in definitiva fa del film un prodotto medio accettabile.