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Un sudtirolese a Berlino

Un giornalista sudtirolese è stato eletto al Parlamento tedesco nelle file dell’AfD. Le reazioni e i commenti.

Marc Jongen

La stampa sudtirolese ha dato molto spazio al fatto che fra i principali dirigenti dell’AfD, (Alternative für Deutschland), il partito di estrema destra che in Germania ha avuto un grande successo alle ultime elezioni, c’è un nostro concittadino, nato a Lana vicino a Merano. Da anni in Germania, ha la doppia cittadinanza: Marc Jongen sarà uno dei 93 parlamentari dell’AfD che entrerà nel nuovo parlamento di Berlino. In passato ha lavorato al Neue Südtiroler Tageszeitung nel settore della cultura.

Su salto.bz, Christoph Franceschini, giornalista e scrittore, che è stato a lungo redattore di punta del quotidiano diretto da Arnold Tribus, ne ha fatto un ritratto “oggettivo”. Così almeno l’hanno definito molti commenti, che hanno apprezzato che non si desse un giudizio sul partito in cui Jongen milita. Altri commenti hanno invece criticato che il giornalista non abbia preso posizione.

Ne è nata una discussione sul modo di fare informazione. Quasi tutti i media hanno dato più importanza al fatto che un sudtirolese entra a far parte del Bundestag, anziché spiegare di che partito si tratta. E questo conta nel Sudtirolo, dove secondo una recentissima ricerca dell’ASTAT, il 49 % dei cittadini non si informa sulla politica, “perché non hanno alcun interesse”, e il 42,4 % parla solo un paio di volte all’anno di politica.

Ma Jongen non è importante perché è sudtirolese e ha fatto carriera all’estero, - e addirittura in Germania - ma perché fa parte di un partito che è nato per opporsi all’ingresso della Germania nell’euro, e poi si è evoluto come partito anti immigrati e di destra estrema.

AfD è un partito reazionario in materia di famiglia, di diritti civili delle donne e dei gay, negazionista dell’Olocausto; vorrebbe cancellare le responsabilità della Wehrmacht nei crimini di guerra, e ripropone slogan come “La Germania ai tedeschi”. È stato capace di indicare a un’opinione pubblica insicura dei chiari obiettivi di odio. Jongen, il “filosofo” di AfD, sostiene che l’immigrazione mette in pericolo la lingua tedesca e lo stato tedesco. Che si deve accendere nel popolo tedesco “la rabbia e l’orgoglio” per non diventare “schiavi degli immigrati”. AfD pesca nell’incertezza dei tempi che cambiano, nello scontento di un paese che non sa apprezzare l’enorme benessere di cui gode, mentre altri stati della UE sono stati distrutti dalle misure assurde di economisti e politici incapaci e/o cinici guidati da Angela Merkel (per rinfrescarsi la memoria leggere: V. Da Rold, La Grecia ferita. Cronaca di un waterboarding spietato. Asterios 2015). Pur non tralasciando che anche in Germania è cresciuta l’ingiustizia sociale e si è allargata la forbice fra i redditi e si sono diffusi i mini-jobs e altre forme di lavoro precario.

In Sudtirolo, la Svp è cauta e attendista, tutta concentrata sui fatti di Catalogna; entusiasti i partiti della destra tedesca, a partire dai Freiheitlichen, che sperano di suscitare l’interesse dell’AfD a favore del Sudtirolo (dio ci scampi). Una loro esponente ha spiegato il suo entusiasmo con il fatto che nel partito vi è una quota molto elevata di persone colte e di accademici. In effetti il partito è stato fondato da un gruppo di intellettuali e ha avuto a lungo un elettorato borghese. Ora però è aperto a tutti, l’offerta si diversifica per allargare il consenso.

Jongen certamente è una persona colta, ha lavorato a lungo come assistente di Peter Sloterdijk, uno dei maggiori filosofi e scrittori della Germania, quando questi era rettore dell’Accademia per l’Arte e i Media di Karlsruhe.

In una lettera a un giornale, un cittadino di Lana ha fatto però osservare alla consigliera dei Freiheitlichen che Joseph Göbbels, Albert Speer e Josef Mengele erano anch’essi persone che avevano studiato, ma non si può certo per questo ritenerli buone persone anziché i mostri del ventesimo secolo. E un altro lettore di Bressanone, di origine ebrea, la cui famiglia venne sterminata a Buchenwald e Auschwitz, si è rivolto direttamente a Jongen, scrivendogli che, quando lui nega di essere un nazista, ha ragione, perché è invece un neonazista, e cita a conferma le parole di Bertold Brecht in Arturo Ui: “Il grembo da cui [il nazismo] è nato è ancora fertile”. Zeno Christianell, insegnante, consigliere comunale della Svp, ha osservato come il linguaggio usato da molti esponenti di punta dell’AfD riprenda espressioni e parole del nazismo.

Lo stesso understatement ha avuto nei mass-media la notizia della visita di una delegazione del partito ungherese Jobbik, nato come formazione antisemita, concorrente di Fidesz, il partito di Orbán, che al governo perseguita i giornalisti liberi e rifiuta le quote di immigrati previste dalla UE, e ha fatto costruire il muro contro i migranti. Jobbik dall’opposizione lo accusa di corruzione, ma non ne mette in discussione le idee e le azioni di governo.

Sono venuti in Sudtirolo a studiare l’autonomia, non per i gruppi minoritari in Ungheria, ma per introdurre tutele dei gruppi di lingua ungherese che si trovano nei paesi vicini. Uno di loro rappresentava cittadini ungheresi che si sono dichiarati di lingua tedesca, una minoranza che ha valore, mentre gli 800.000 Rom ungheresi vengono definiti “una minoranza eterogenea di cultura eterogenea”, e continuano ad essere discriminati nell’educazione, nel lavoro, nell’abitazione. Organizzati dall’ex consigliere regionale Franz Pahl, i quattro rappresentanti di Jobbik hanno incontrato l’ex presidente Durnwalder, che dopo un quarto di secolo di moderazione al servizio dello sviluppo economico, nel tempo della post-politica coltiva gli estremismi. Già dimenticate le guerre jugoslave a ricordarci quanto sia facile suscitare odi e conflitti insanabili?

In Europa si respira un’aria da anni Novanta del Novecento, quando alla caduta del muro di Berlino e dell’intero sistema sovietico, i micronazionalismi aizzati da politici infami sono deflagrati e hanno imposto nuovi stati basati su etnie vere o presunte, invece che sui diritti civili di tutti gli abitanti. Anche allora c’erano le associazioni e gli “studiosi” pronti: la FUEV, Miglio, le euregio secessioniste. I partiti populisti di destra estrema teorizzano la fine dell’Illuminismo, la sostituzione dei diritti individuali con quelli di gruppo e dunque la fine della civiltà europea moderna. Jongen, nato nel 1968, dice apertamente che il suo obiettivo è di cancellare tutto quanto il Sessantotto ha prodotto. L’Europa di nuovo dovrà scegliere se andare avanti o lasciare che tutto si frantumi.

Anche il Sudtirolo deve scegliere. Anche gli interlocutori. Quali saranno i riferimenti, i principi, le idee, le capacità che permetteranno di andare avanti? Dopo il fallimento (programmato) della Convenzione manipolata dagli Schützen, quali sono le piattaforme, i luoghi, le “piazze” che permetteranno di confrontarsi e di fare tesoro delle diverse realtà ed esperienze dei cittadini del Sudtirolo?

I mass-media divisi, le scuole divise, la politica divisa per partiti etnici: ci mancano gli strumenti per comunicare e siamo logorati da questa fatica che ci è imposta di stare ognuno per sé, mentre si svolge il teatrino pericoloso di chi è il più efficace difensore delle minoranze. È nell’assenza di risposte concrete e di proposte sensate che si insinuano le ideologie nazionaliste, e la fragilità dell’autonomia sta anche nell’assenza di relazioni giuste con coloro che in Europa e nel mondo considerano le minoranze un fattore di arricchimento della società e non uno strumento per rompere coesione e solidarietà.

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