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“Esodo”

L’esodo istriano dagli occhi di chi è rimasto

Sembra quasi che Sinai e Istria siano unite da un destino comune, entrambe triangoli di terra eternamente contesi e crocevia di popoli e culture che si incontrano e scontrano. Se l’Esodo biblico narra della migrazione del popolo ebraico dalla schiavitù d’Egitto alla Terra Promessa, l’”Esodo” de La Confraternita del Chianti racconta di un esilio contemporaneo come quello degli italiani d’Istria.

“Esodo”

Lo spettacolo – interpretato da Diego Runko, anche autore del testo insieme alla drammaturga Chiara Boscaro e al regista Marco Di Stefano – è la seconda di cinque tappe del progetto triennale “Pentateuco”, ciclo con cui, traendo i temi chiave dai cinque libri dell’insegnamento, la giovane compagnia milanese intende indagare in modo originale il fenomeno della migrazione.

La sala è buia, illuminata solo da quattro colonnine riflettenti disposte a semicerchio sulla scena. Sul fondale campeggia una citazione dall’Esodo. Una voce femminile fuori campo fa un dirompente appello all’immaginazione dello spettatore, con una modalità che fa ripensare addirittura al prologo dell’”Enrico V” di Shakespeare: “Immaginate un pezzo di terra. Un pezzo di terra bagnato dal mare con una parte attaccata al continente. Immaginate una penisola, un triangolo isoscele capovolto con due lati lunghi e una base più corta”. Una veloce cavalcata geopolitica lungo la Storia (ripresa nell’epilogo) che conduce dritta al cuore dello spettacolo, dove l’immaginazione è superata dalla realtà degli eventi.

Ad attraversare vicende ancora oggi nebulose è Rudi, un “povero vecchio rimbambito” che, con fare da fanfarone, da una sedia racconta la sua storia ad un bambino di dieci anni, che altri non è se non lo stesso attore-autore. L’ambientazione temporale è ben definita: 25 giugno 1991, giorno dell’indipendenza della Croazia. La prospettiva di Rudi è quella di chi non è emigrato, ma ha visto tanti partire. Sognava l’America, Rudi, costretto però dagli eventi a rinviare e poi cancellare il viaggio. Racconta, in un italiano dialettizzato, del dolore per il padre ammazzato dai fascisti e per la madre gettata nelle foibe dai partigiani di Tito, ma anche di come “diventa uomo”, della fantomatica avventura amorosa con Alida Valli, delle amicizie, dell’incontro fugace con altre star come James Joyce e Sergio Endrigo. Un monologo molto umano, costellato da momenti drammatici, ma capace anche di strappare più di un sorriso di complicità: come succede nella vita, come quando un anziano racconta storie a un bambino.

Rudi però non è l’unico personaggio. Diego Runko dimostra tutta la sua abilità attoriale tramutandosi (con cambi lenti e a vista) nel giovane giornalista croato Jakov, nel soldato inglese Winston, nel prete partigiano sloveno don Zeljko e nell’amico polesano Gildo. Quattro flashback che inframmezzano la trama principale e si svolgono ciascuno da una colonnina diversa. Un’occasione che, mentre dà all’attore l’opportunità di esprimersi in quattro lingue (croato, inglese, sloveno, dialetto polesano), ognuna con ritmo e musicalità propri, rappresenta mirabilmente le etnie presenti nel territorio istriano il 18 agosto 1946, secondo estremo cronologico della messa in scena, giorno della strage della spiaggia di Vergarolla (le colonnine diventano cippi memoriali) che segna l’inizio dell’esodo. Non per Rudi, però, che decide di restare.

Un’apertura potente e indicativa, lo scorso 28 ottobre, per “La Bella Stagione” del Teatro Portland, realtà da oltre dieci anni attenta alle tematiche civili e alla drammaturgia contemporanea, senza dimenticarsi che l’arte è prima di tutto bellezza. Tutte caratteristiche che fanno di “Esodo” una scelta azzeccata.

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