Più risorse alla scuola
Perché il lavoro più bello del mondo (quello dell’insegnante) è spesso vissuto così male nel nostro Paese?
La scuola la fanno gli insegnanti, tutto il resto, per quanto utile, è contorno. Si può fare scuola (bene) con niente tra le capanne di un villaggio africano, basta un (bravo) insegnante. Le scuole statisticamente migliori al mondo sono quelle nelle quali gli insegnanti sono più motivati e gratificati. Di questo dunque dovrebbe occuparsi qualsiasi seria politica scolastica, perché questo è l’elemento decisivo per il buon funzionamento della scuola. E non dovrebbe essere difficile, se è vero quel che ho scritto all’inizio (ma ecco la spiegazione promessa): è il mestiere più bello del mondo (non per tutti naturalmente, ognuno deve poter seguire la propria vocazione) perché ti permette di continuare a studiare le cose che ti interessavano da studente, e di farlo con persone giovani che potrebbero essere ugualmente interessate. Che si può volere di più dal lavoro?
Ma allora perché l’immagine corrente dell’insegnante è invece quella di una persona scontenta e arrabbiata, frustrata e infelice? È una questione di soldi? Anche, ma non solo, non soprattutto. Io sono contento di fare l’insegnante e non percepisco uno stipendio superiore a quello di tanti altri che insegnano nella scuola. Dov’è allora la differenza? Io ne vedo principalmente due.
La prima: ho avuto la fortuna di poter insegnare proprio quello che mi interessava; la prima condizione importante, dunque, è che l’insegnamento non sia un ripiego in mancanza di meglio, un surrogato dell’attività veramente desiderata, né un secondo lavoro fatto per arrotondare il reddito e senza una reale motivazione.
La seconda: ho pure la fortuna di lavorare con gruppi di studenti poco numerosi e spesso molto interessati, mentre la maggior parte degli insegnanti si trova ad affrontare classi affollate e assai poco interessate, e a dover svolgere quindi più funzioni disciplinari che didattiche, più il compito del sergente che del maieuta. Lo scarso interesse, tra l’altro, è in parte conseguenza dell’affollamento, perché ogni materia può essere interessante e i giovani sono di per sé tendenzialmente curiosi, e in una classe meno numerosa è più facile non solo controllare la situazione ma anche suscitare interesse e seguire da vicino ogni studente. Ma negli anni scorsi, per via della crisi ma anche prima, a causa del disavanzo pubblico e della sottovalutazione della scuola, è stato un susseguirsi di tagli e razionalizzazioni, accorpamenti (di classi e di istituti) e incrementi (del numero di studenti per classe, del numero delle classi per insegnante, del carico di lavoro complessivo insomma). Le altre cause del malessere degli insegnanti – il rapporto talvolta difficile e conflittuale con le famiglie, l’eccessiva quantità di adempimenti burocratici cui sono chiamati dall’amministrazione – sono altre conseguenze della stessa causa. L’unica cosa importante che dovrebbe fare la politica per ottenere una scuola se non “buona” almeno migliore, è invertire la tendenza e investire più risorse nella scuola, anche per migliorare la retribuzione degli insegnanti, ma soprattutto per migliorarne le condizioni di lavoro, e quindi il rapporto con gli studenti e i risultati.