Albiano, un paradiso
Finalmente ad Albiano anche l’ultima lacuna è stata colmata. Con l’uscita e la distribuzione alle famiglie del volumetto dal titolo “Albiano, la modernità della storia”.
La passata amministrazione comunale ha voluto lasciare ai posteri una piccola icona che li ricordi nella memoria dei propri concittadini, o sopra un alto scaffale di una improbabile libreria. Gesto senz’altro nobile, perché la storia di una comunità con tutte le sue sfaccettature, anche artistiche, si ritagli il giusto spazio. Anche se a spese delle casse comunali.
La storia con i suoi protagonisti, pur declinata nella dinamica modernità, è comunque formata da visioni, comportamenti, e vissuti, che all’interno di una piccola comunità come quella di Albiano non sono esenti dall’avere prodotto contraddizioni, conflitti, e sfruttamento selvaggio sia delle risorse naturali che di quelle umane. E la storia avrebbe il dovere di riportare i fatti senza mistificazioni. A maggior ragione se paga Pantalone.
Aprendo il volumetto, nei saluti del sindaco ci si imbatte in parole sinuose accordate persino altisonanti: “La simbiosi con l’ambiente... il sapiente e saggio sfruttamento delle risorse naturali”...
Ma siamo ad Albiano? Sì, ma sono solo parole, aggettivi che non trovano, purtroppo, riscontro nella realtà. Forse solo nel lontano passato, quando l’approccio al lavoro ed alla natura era più rispettoso per cultura, saggezza popolare, per forme del lavoro cooperativistico abbiamo avuto per breve tempo questa simbiosi con le risorse naturali.
Nel capitolo “Il Novecento. La Pietra”, che affronta la questione economica sotto il profilo sociale, ci si introduce in un ambiente che, quantomeno nella storia più recente, è quasi irriconoscibile: “..capacità di adeguare gli interessi economici al progresso dell’intera comunità... non si assiste a quelle tipiche situazioni di conflitto fra proprietà ed affituario... gli interessi della proprietà fondiaria e quelli degli investitori coincidono”...
Seppure in periodi e con approcci diversi, nel Comune di Albiano, come negli altri comuni del porfido, quel conflitto non si è mai registrato nei documenti fra i soggetti interessati; il principale motivo è che i concessionari o gli affittuari dei lotti cava erano allo stesso tempo anche amministratori comunali. Si regolavano affitti e gestione delle risorse a seconda delle loro esigenze e qui iniziava e finiva il concetto di comunità. Salvo poi elargire mance e prebende al fervore associazionistico: strumento di controllo sociale oltre che espressione culturale della comunità.
“La disponibilità di forza lavoro offerta dagli operai in cambio di salario... La rendita fondiaria e profitto d’impresa vivono entrambi nel quadro della società moderna, ma non sorgono dallo sfruttamento della classe che lavora perché tutte e tre sono attive”. Qui il più volte citato Karl Marx si sarebbe incacchiato e certamente si sarebbe chiesto se stare in cava dieci ore piegati a novanta gradi con in mano una mazza da cinque o sei chili avesse qualche attinenza con l’essere soggetto attivo nell’organizzazione del lavoro e del proprio salario..
Ancora: “...evoluzione positiva e crescente fra i cavatori del porfido del rapporto con la natura... Si è creato un equilibrio dinamico... che dimostra la visione integrale dell’uomo adattato alla e dalla natura... Una vera coscienza sociale... Sistema interno di orientamento che porta ad un’evoluzione sociale dell’imprenditore promotore di se stesso”...
È chiaro che il lavoro può creare squilibri e criticità ambientali, ma che la zona del porfido si distingua per una simbiosi così profonda uomo-natura mi sembra una cagata pazzesca.
Ricordiamo le brutture più evidenti, come la frana del Graon, la frana dello Slavinac, il lago di Valle atrofizzato, il declassamento dell’unica sorgente di acqua potabile sita nel comune, le polveri sugli abitati e sui posti di lavoro, lo sparo di mine da terremoto continuo, e in ultima analisi la distruzione di un patrimonio collettivo.
Se si sono posti limiti e rimedi ad un modo di lavorare selvaggio ed arrogante è stato solo grazie alla generosità ed al sacrificio di lavoratori e cittadini che si sono spesi e battuti per un lavoro ed un vivere senz’altro più civile e rispettoso sia delle persone che delle risorse naturali che restano un patrimonio collettivo, anche se non sembra così.
Per concludere, l’autore del volumetto afferma che “Albiano sul cammino del terzo millennio, affida le proprie aspettative all’arte...”.
Sì, quella di arrangiarsi!