Frane, alluvioni & Co.
La gestione del territorio è il grande problema italiano. Cinquant’anni fa un ministro democristiano, Fiorentino Sullo, cercò di affrontarlo. Ma fu fermato. Da “L’altrapagina”, mensile di Città di Castello.
Gli eventi disastrosi che si susseguono ormai con una cadenza mensile, stanno dimostrando ancora una volta la fragilità geologica del nostro paese, ma anche l’inconsistenza morale e politica della popolazione, incapace di fronteggiare questa situazione. Malgrado denunce continue, dichiarazioni politiche a volte drammatiche e fatti climatici incontrovertibili, leggiamo dal bollettino ISPRA (Istituto Superiore Protezione Ricerche Ambientali del Ministero competente) che tra il 2010 e il 2012 sono stati consumati 720 km quadrati di terreno vergine: il 30% dall’edilizia abitativa e industriale e il 30% da strade e piazzali. Una macchina infernale che non si riesce a modificare.
Matteo Renzi è un attento osservatore della vita istituzionale tedesca e, per le riforme da fare qui da noi, si ispira a quella, come ha ripetuto più volte. Per una soluzione di questa situazione ambientale, una legge cioè sulla difesa del territorio e sui suoli edificabili, però, non ha mostrato finora nessuna sollecitudine. Piuttosto qualche titubanza. Invece troverebbe un’ottima ispirazione proprio nelle scelte del governo tedesco.
Il premier Helmut Kohl - siamo nel 1985 - pose mano al problema varando una legge che intendeva ridurre progressivamente il consumo di territorio dai 129 h/g (ettari/giorno) a 30 h/g entro il 2020. Legge confermata dai governi successivi e rafforzata dai governi Merkel, in versione sia bianca che bianco/rossa, aggiornandola con l’obiettivo di raggiungere il consumo zero entro il 2050. Un buon esempio da seguire concretamente.
Anche perché nel nostro Parlamento, in Commissione Ambiente, giace un disegno di legge depositato al tempo del governo Monti. Una proposta che ha passato indisturbata, oltre a Monti, anche Letta (questo è comprensibile, vedremo perché) e ora Renzi.
Andrea Orlando, attuale ministro della Giustizia, aveva dichiarato quest’anno, in due separate occasioni, “urgente” e poi “urgentissima” l’approvazione di quella legge. Ma intanto lo stanziamento per i dissesti idrogeologici, quest’anno, si aggira sui 30 milioni. Non basterebbero neanche per la sola Genova. Questa mancanza di una legge sull’edilizia che regolamenti la proprietà e la gestione dei suoli urbani è storia antica, che Pasolini definì “modernizzazione senza sviluppo”.
Roma, nei primi anni Sessanta, già vantava 600.000 costruzioni abusive. Una mancanza talmente grave da aver generato l’attuale livello di corruzione generalizzata. Politicamente una sconfitta, forse la più grave, subita dall’Italia civile, quella più sensibile e attenta alle vere necessità collettive.
Il primo episodio di questo scontro tra Italia reazionaria e Italia progressista si svolse a Roma. Nel 1953 la Società Generale Immobiliare presenta in Consiglio comunale a Roma, per l’approvazione, un progetto per la costruzione di un ecomostro di dimensioni enormi (lungo 150 metri, alto 30, 11 piani, del costo di 4 miliardi di lire), che avrebbe schiacciato la collina ancora intonsa di Monte Mario: l’hotel Cavalieri Hilton. Una vera e propria prova di forza. Da una parte la Democrazia Cristiana romana con il sindaco Salvatore Rebecchini, la Santa Sede e la Società Generale Immobiliare; dall’altra l’intellettualità e i movimenti politici progressisti. Nel consiglio di amministrazione dell’Immobiliare siedono: un parente di papa Pio XII, il suo cameriere segreto, alcuni nobili romani, il consigliere delegato del patrimonio della Sede Apostolica; dall’altra Arrigo Benedetti, giornalista, scrittore, partigiano fondatore de L’Espresso, Antonio Cederna, archeologo e ambientalista, futuro fondatore di Italia Nostra; Manlio Cancogni, scrittore, giornalista, insegnante di letteratura italiana allo Smith College di Northampton, che nel 1955 avvierà un’inchiesta aprendo il primo articolo con il titolo: “Capitale corrotta = nazione infetta”.
La presentazione del progetto in Campidoglio, nel 1956, finirà in rissa, con tanto di querele in tribunale. Il comunista Claudio Cianca, accusando la maggioranza in Consiglio di essersi venduta, ispirerà la prima scena del film di Francesco Rosi “Le mani sulla città”. L’episodio chiuderà la carriera politica del sindaco.
Il progetto, aprendo la serie dei grandi eventi, verrà realizzato in occasione delle Olimpiadi romane, pochi anni dopo.
Il tentativo fallito
La parte progressista dell’Italia, però, spinge per il rinnovamento. È un momento politico turbolento, il centrodestra non è più in grado di gestire la politica da sola e deve aprire al Partito Socialista.
Nel governo Moro del 1962, viene nominato ministro dei Lavori Pubblici un giovane irpino di 41 anni: Fiorentino Sullo (1921-2000). Ha partecipato, direttamente o indirettamente, all’elaborazione del piano regolatore di Roma; ha studiato le leggi urbanistiche realizzate a Parigi e Londra, si avvale della consulenza di personalità di spicco per l’elaborazione del testo: gli architetti Luigi Piccinato e Giuseppe Samonà, urbanisti già nominati da Zaccagnini nel governo precedente; i sociologi Achille Ardigò e Francesco Compagna; i giuristi Antonio Guarino e Massimo Severo Giannini.
Sullo ha consapevolezza della profonda novità che apporta nelle istituzioni italiane una riforma che lo studio della Commissione sta elaborando e lo afferma con grande chiarezza in un dibattito parlamentare: “Questa legge è una riforma di struttura”.
Ha ben presente quanti nemici ha coalizzato contro il suo tentativo: “La legge urbanistica sarà rivoluzionaria più della nazionalizzazione delle aziende elettriche, persino più della riforma agraria”. Non trascura gli aspetti più generali, le Regioni sono ancora sulla Carta costituzionale, ma nel suo disegno di legge già se ne parla: “La politica urbanistica deve valere anche per le Regioni, perché non può snaturarsi con lo stabilire un sistema di espropriazioni e vincoli terrieri diverso da Regione a Regione”.
Ha ben presente i rischi legati alla speculazione che potrebbero nascere tra le pieghe della sua proposta: “Bisognerà fare in modo che si eviti la speculazione... i comuni comprano, lottizzano e poi vendono all’asta anche ai privati”.
Il 1963 è anno di elezioni e la stampa reazionaria si scatena contro il ministro; si distingue Il Tempo che Renato Angiolillo ha fondato nel 1944 e che, nel 1958, ha assunto Gianni Letta, lo “zio famoso”, detto “Cipria”, che si distinse negli attacchi alla persona e alla legge. È anche il momento in cui l’organo ufficiale della DC, il Popolo, si dissocia dal suo stesso ministro.
Dopo le elezioni, il nuovo ministero lo forma ancora Aldo Moro; e malgrado il “tintinnar di sciabole” (rischio di colpi di stato) denunciato da Pietro Nenni, i socialisti vi entrano e il posto di Sullo è occupato da Giovanni Pieraccini, socialista. Questi riprese e modificò parzialmente il testo precedente, ma il Parlamento lo respinse per sette voti.
Renzi ha questa storia alle spalle e una realtà decisamente peggiorata da allora. La consapevolezza del Bene Comune, tra la gente, un’utopia sciocca. Farà qualcosa?