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Segnali di intolleranza

Jacopo Zannini, gagiò; Baskim Berisha, rom

“Prima vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano”.

Comincia così la celebre frase di Bertolt Brecht che parla di indifferenza e xenofobia. Qualcuno potrà dire che è un paragone forte: non siamo più sotto il nazismo e non ci sono stermini in corso in provincia di Trento. Ma il lancio di molotov allo scopo non solo di danneggiare ma anche di ferire o magari uccidere, compiuto qualche notte addietro contro un accampamento di roulotte di Sinti ci ha riportato alla mente questa frase.

Nel nostro territorio, che negli ultimi anni si è contraddistinto per essere un angolo alpino solidale, stanno rinascendo purtroppo rigurgiti di xenofobia e fascismo. E ci riferiamo non solo allo sfregio che i nuovi camerati di Casa Pound hanno fatto, con l’avallo del Comune, costruendosi una sede in via Marighetto, per inneggiare al “fascismo del terzo millennio”, ma anche al pensiero comune che sta subendo una pesante torsione verso un identitarismo pericoloso e rabbioso. Così la nostra Autonomia, usata per anni dalla classe politica trentina troppo spesso come un bancomat e poco come un luogo in cui fare esperimenti virtuosi, rischia di mutarsi in “integralismo territoriale”.

Il Patt, partito del presidente della Provincia, deve stare attento a come gioca le sue carte. La storia ci insegna che ci vuole un nulla ad alzare barriere, a chiudersi dentro a dogmi e svalutare l’importanza della diversità culturale. Nessuno dovrebbe dimenticare che è proprio il nostro “meticciato alpino” che ci ha reso autonomi, la convivenza di culture anche differenti che hanno fatto la nostra storia. E quando ritorna quel refrain che disumanizza e attacca un popolo come il Rom, che non ha mai fatto guerre contro nessuno e che attualmente vive in uno stato di esclusione (si pensi ai “campi”, che sono sicuramente un sistema da rivedere passando attraverso le microaree, ma soprattutto puntando all’integrazione completa di queste comunità), dovrebbe accendersi un campanello d’allarme, perché forse l’asticella dell’umanità (intesa come capacità di relazionarsi emotivamente e razionalmente al diverso) si sta abbassando.

Il nostro richiamo è innanzitutto alle istituzioni, perché vigilino e favoriscano processi di interculturalità che possano responsabilizzare i soggetti indipendentemente dalla cultura a cui appartengono, ma anche verso ogni cittadino, perché possa essere sentinella di questi atteggiamenti e lavorare perché si arrivi a un dialogo pacifico e costruttivo.

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