Secessione a due ruote
La corsa era stata auspicata da Bossi (“Voglio il Giro della Padania” disse ai suoi all’ultima festa di Venezia), che dovrebbe anche essere lo starter della prima tappa; il suo patrocinatore è il senatore leghista Michelino Davico; e il leader della classifica indossa una maglia verde. A questo punto, è malizioso supporre che si tratti di un’iniziativa di partito, come Miss Padania? Di diverso - di grave - c’è che la manifestazione è stata inserita nel calendario ufficiale dell’Unione Ciclistica Internazionale. Con ogni evidenza è l’ennesima trovata per rendere credibile l’esistenza di una realtà geografica inesistente. Diceva Joseph Goebbels, ministro della Propaganda di Hitler: “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”. Insomma, se c’è il giro della Padania, ci sarà pure, la Padania!
Il colpaccio è riuscito grazie alla miopia del mondo sportivo, incapace anche stavolta di interpretare la strumentalità di iniziative politiche che lo coinvolgono. Per il commissario tecnico della nazionale, Paolo Bettini, il Giro della Padania è benvenuto, perché colma “le carenze del calendario italiano nel mese di settembre”, mentre il rappresentante della società sportiva organizzatrice imputa ai contestatori “una polemica che pare costruita ad arte, visto che si sta parlando di una denominazione e non di altro”. Col che ci aspettiamo che un burlone proponga un Giro di Atlantide, che se prevederà percorsi interessanti in un periodo dell’anno vuoto di corse, troverà senz’altro l’approvazione di ciclisti e dirigenti. Comunque, conclude il tecnico, “non siamo interessati alle connotazioni politiche, vere o presunte”.
Non poteva mancare, nel dibattito, il buon Francesco Moser, con alcune perle da antologia: “La maglia verde c’era già al Trittico Lombardo”. “Non so cosa potrebbe cambiare se la corsa, invece che Giro della Padania, fosse stata chiamata Giro dell’Italia del Nord”. “C’è il simbolo della Lega e della Padania, ma non penso si possa dire che si tratta solo di una manifestazione di carattere politico”. Eccetera.
Ancor più grave è però che dei politici vaganti nei pressi del centro-sinistra non capiscano la situazione; è il caso dell’assessore provinciale Tiziano Mellarini: “Sarà pure targato Lega, ma a livello mediatico è un evento importante... Sarà un’occasione per avere grande visibilità”. Segue (Adige del 7 agosto) un singolare ribaltamento della frittata: “Siamo una terra ospitale” - proclama Mellarini, e Rovereto in particolare, città della pace, “non può permettersi discriminazioni e intolleranze”. Già perché l’ultima tappa del Giro parte il 10 settembre da Rovereto, a quanto pare - ironia della sorte - proprio da quel Mart che i leghisti ostacolarono con tutte le loro forze come culturame costoso e improduttivo. A Rovereto, appunto; dove l’amministrazione di centro-sinistra appare schizofrenica, col vicesindaco Gianpaolo Daicampi che si bea dei “passaggi significativi in televisione” apportati dal Giro, mentre il sindaco Miorandi parla invece di “senso di spaesamento e di fastidio che in questi giorni è comune a molti nostri concittadini” nel vedere questo “bell’esempio di sport ‘colorato’ dalla politica”, e contesta la sponsorizzazione decisa a livello provinciale.
Meno affranto ma molto più pratico è apparso il sindaco di Piacenza (anche lui PD), che semplicemente non ha concesso il passaggio della corsa dalla sua città invocando ragioni squisitamente tecniche: ci sono pochi vigili per garantire la sicurezza e pochi soldi per pagare gli straordinari, i volontari sono già impegnati in altre manifestazioni, è impensabile chiudere al traffico la tangenziale in un giorno feriale, c’è un cantiere stradale aperto che ostacolerebbe la corsa, e per finire - unico accenno “politico”, “contrariamente a quanto hanno sostenuto alcuni esponenti leghisti, non a caso gli unici ad essere interessati all’evento, sarebbero nulle le ricadute economiche positive per Piacenza, città solo di transito per la gara”.
Poche ma ridicole le reazioni dei leghisti, che forse speravano in una ormai avvenuta assuefazione alle loro provocazioni. È il caso di Sergio Divina, che parla di “assurda strumentalizzazione del sindaco di Rovereto”; del segretario piemontese del partito, arrabbiato contro quei “quattro nostalgici che ancora oggi tentano invano di frapporsi al progresso”; e del senatore Davico, che crede di dimostrare la sua buona fede annunciando l’intenzione di organizzare un giro delle Due Sicilie.
Mentre scriviamo, la corsa sta per partire; ci auguriamo che le numerose, meritorie iniziative di contestazione di questo pateracchio seguano il modello di intelligente, ironica creatività che ha caratterizzato i recenti appuntamenti elettorali. Parlare di “fascismo” (come ha fatto il rifondarolo Ferrero) o di “Giro dell’intolleranza” significa seguire la Lega in uno sciocco gioco di semplificazione della realtà che proprio non serve.