La maledizione del petrolio
Sono molte le immagini che si sono impresse nella mente durante il mio viaggio in Venezuela. Dire che il paese è diviso in due parti antitetiche e contrapposte può sembrare semplicistico, ma l’affermazione non si discosta troppo dalla realtà. Ricordo le lacrime silenziose della ministra dell’ambiente, Ana Elisa Osorio, medico, quando raccontava delle "amiche" che l’hanno ripudiata perché lei è entrata nel governo dell’odiato Hugo Chávez Frias. Ricordo la faccia triste dell’ex ministro della pianificazione, Jorge Giordani, ingegnere laureato a Bologna, quando ci raccontava il comportamento dei suoi vicini di casa: costoro ogni sera, per mesi, avevano inscenato rumorose ed offensive proteste davanti ai cancelli della sua abitazione perché lui e la sua famiglia se ne andassero dalla zona. Ricordo gli occhi pieni di felicità di Maylin Rodriguez Beltran, giovane mamma del barrio Sucre, a Caracas, quando ci mostrava l’atto di proprietà della propria casa (già abusiva), appena ricevuto dal governo.
Ricordo il racconto di padre Agostino, missionario della Consolata: "Le divisioni tra chavisti e anti-chavisti si manifestano anche nella mia chiesa. Qualche tempo fa, una signora durante una messa ha chiesto agli altri fedeli di pregare perché Chávez se ne vada. Davanti a questi fatti io, prete, come debbo comportarmi?". Ricordo l’accorato comunicato di un gruppo di suore favorevoli a Chávez (chiamato "hermano Presidente"), che si concludeva così: "Afirmamos y gritamos que vale la pena vivir hoy, aqui, ahora en Venezuela" ("Noi gridiamo che vale la pena di vivere in Venezuela: oggi, qui ed ora").
Il Venezuela è uno dei maggiori esportatori mondiali di petrolio. In America Latina è il primo produttore. La "Petróleos de Venezuela" (Pdvsa, detta Pedevesa nel linguaggio corrente), la compagnia petrolifera di proprietà pubblica, ha sempre generato enormi profitti, che però invece di arrivare nelle casse dello Stato in larga parte sono andati a gonfiare conti bancari privati, in patria come all’estero. Forse per questo i dirigenti di Pedevesa si sono apertamente schierati con la "Coordinadora democratica" (l’eterogenea alleanza che raggruppa gli anti-chavisti). Poco importerebbe se essi non fossero riusciti a bloccare per mesi (attraverso uno sciopero, ma anche con autentici atti di sabotaggio) la produzione di greggio, portando il paese ad un passo dalla bancarotta.
Difficile fare previsioni sul futuro del Venezuela. Il presidente Chávez (ammesso che resista) indirà le elezioni nel prossimo agosto? Se sì, i contendenti accetteranno il successivo responso delle urne? Un eventuale ritorno dell’opposizione al governo, comporterà anche un ritorno ad un modello economico dove l’80 per cento dei venezuelani è costretto a vivere nella miseria?