“ApertAmente. Gente di Rovereto”
Mostra fotografica sui "nuovi cittadini" che a Rovereto non sono nati: un invito a riconoscere gli aspetti quotidiani delle nuove - e diverse - convivenze.
“Mescolarsi con gli stranieri apre la via ad avventure di ogni tipo, a cose interessanti, affascinanti, che possono accadere. Potete vivere qualcosa di prezioso, qualcosa che non avete mai conosciuto prima d’ora. E potete farvi dei nuovi amici, buoni amici, che staranno con voi per l’intera vita." Un’occasione per promuovere quello a cui così invita Zygmunt Barman è stato il lavoro di cui la mostra fotografica "ApertAmente. Gente di Rovereto" (fino al 14 ottobre alla Sala Baldessari di via Portici, a Rovereto) costituisce un primo passaggio pubblico.
Tema dell’operazione sono i nuovi cittadini: chi in questa città non è nato ma lavora, studia, si muove tessendo o cercando relazioni; e chi a Rovereto è nato, ma sa di avere radici anche altrove, nel paese (a volte, nei paesi) dei nonni e del resto della famiglia. Divisa in sezioni tematiche (feste, lavoro, scuola, tempo libero, cucina), la mostra invita a riconoscere gli aspetti quotidiani delle nuove convivenze, apprezzando la naturalezza del cambiamento: momenti di vita comunitaria interna ai singoli gruppi nazionali o religiosi (ricorrenze del calendario islamico e di quello ortodosso, ritualità civili e private sudamericane), situazioni pubbliche con presenze miste (il mercato, la festa di quartiere), interni di famiglia (ritratti di gruppo, preparazione di piatti tipici), i luoghi di incontro misto (negozi con prodotti nazionali tipici, locali con gestori che vengono da lontano).
I luoghi tradizionali della città, depositari di memorie collettive, si aprono a nuove abitazioni e in qualche modo, complicando la loro funzione, diventano agenti integratori: il palazzetto dello sport ospita le ritualità del calendario musulmano con la partecipazione anche di amici d’altra fede, sul campo da calcio calpestato da generazioni locali corre il cricket dei ragazzi pakistani, la scuola si apre alle mamme che vengono a studiare italiano nell’aula accanto a quelle dei figli, la chiesa barocca accoglie il rito ortodosso, il mercato diventa luogo per eccellenza della contiguità e dello scambio.
Soggetti delle foto, le decine di persone rappresentate sono state anche collaboratori propositivi del Circolo fotografico L’Immagine che ha avviato questo percorso all’insegna del "prima conoscere per poi ritrarre". Diversamente da altre esperienze documentative, mirate più ad esaltare differenze e curiosità anche occasionali, in questo caso si è partiti dal rapporto con le realtà associative, luoghi di incontro e organizzazione culturale, ma anche tramite per i contatti con famiglie e comunità. Dietro alle 140 foto esposte c’è quindi un’opera di coinvolgimento e mediazione, la ricerca di modalità e tempi rispettosi del privato e delle diverse sensibilità culturali. Città Aperta. Ponti fra persone, lingue, culture (associazione di mediatori culturali, ma che accoglie anche persone interessate a sviluppare dinamiche di inclusione) è stata partner del progetto; Mi gente (circolo culturale latinoamericano) e altri gruppi hanno reso possibile l’avvicinamento di ambienti e singoli cittadini. Senza mirare ad un’indagine sistematica, si sono censiti insieme luoghi, eventi, categorie professionali attraverso cui cogliere la nuove presenze e le interazioni nella città.
In corso d’opera, grazie a questo forte carattere di relazione, si è ridotto progressivamente il divario "noi/altri" (il fotografo alla ricerca dell’alterità); l’interesse è andato al contesto comune, al carattere di incrocio e di mescolanza che la città sta sviluppando.
"La paura e l’insicurezza vengono mitigate dalla conservazione delle differenze, e insieme dalla possibilità di muoversi liberamente per la città", sostiene Nan Ellin, autrice di "Making Place in the Global Village". Se in questa fase si è privilegiata la rappresentazione della serenità dell’esserci e del mostrarsi, c’è però la consapevolezza di altri piani, di zone grigie, di difficoltà a tutti i livelli. Il lavoro continua, per la rappresentazione di una cittadinanza plurale, che voglia vedersi e riconoscersi in quanto tale; per una città di tutti, che non assimili, né si divida in circoli chiusi alimentando forme di disorientamento o di difesa.