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QT n. 5, maggio 2011 Trentagiorni

Vincenzo Bonmassar

Bonmassar V.

Il prof. Bonmassar era un mio collega quando insegnavo ai Geometri di Trento. Il nostro primo incontro fu in realtà uno scontro frontale, di quelli che in genere marchiano un rapporto per sempre. Un altro collega era venuto a raccontarmi nella sede di Questotrentino, un brutto episodio di prevaricazione su un giovane alunno, di cui si era reso colpevole proprio Bonmassar, assieme al preside e all’insegnante di italiano. Questotrentino pubblicò il caso con uno sferzante servizio in prima pagina e a scuola successe il terremoto: il preside collezionò l’ennesima brutta figura, mentre la prof d’italiano scaricò ogni responsabilità su Bonmassar, che dall’esperienza uscì segnato al punto da essere ricoverato in ospedale. Quando dopo due mesi tornò a scuola, mi strinse la mano, e mi portò al bar offrendomi la consumazione. Per quasi trent’anni abbiamo poi collaborato, e mai un cenno su quel nostro primo aspro dissapore; nei suoi occhi scuri ho sempre letto solo amicizia e stima. Questo ricordo personale penso possa ben illustrare l’uomo pubblico Bonmassar, la sua schiettezza, la profondissima onestà.

Nei primissimi anni ‘90 passò dall’insegnamento al sindacato, segretario provinciale della Uil scuola. Il suo lavoro, la sua passione, la sua intransigenza, portarono la Uil da sindacato ornamentale ad essere il più rappresentativo tra i docenti. Mazziniano e laico, difendeva senza compromessi la laicità della scuola, e quindi il valore della scuola pubblica, in tempi in cui troppo spesso l’imbelle politica barattava i conclamati principi per qualche voto dalle lobby cattoliche. E al contempo caratterizzava il suo sindacato come indipendente dai partiti, dal governo provinciale e dalle loro pastette: la Uil fu l’unica sigla che nel 2001-2 non accettò il viscido protocollo Moratti-Dellai, e ancora in questi ultimi mesi, è stata l’unica (con la Gilda) ad opporsi a quelle parti della riforma Dalmaso che risparmiano su insegnanti e didattica, e quindi su opportunità per gli studenti svantaggiati, per meglio spendere in nuovi inutili edifici.

“Quando arrivai al sindacato - ci ricorda Pietro Di Fiore, che a Bonmassar è recentemente succeduto - mi fece correggere un verbale: avevo scritto ‘Scuola trentina’ secondo la corrente vulgata, non ‘Scuola in Trentino’ come giustamente Bonmassar pretendeva”.

Il favore incontrato dalla sua azione sindacale e politica (era con Mauro Bondi l’anima dell’associazione “Laici trentini”), la stima, indiscussa e meritata che si era guadagnato, gli fecero commettere un errore. Venne a trovarmi nel 2008, chiedendo la mia opinione su una sua candidatura alle provinciali nella lista dei Leali. Discutemmo a lungo. “Vedo che hai già deciso di sì - gli dissi alla fine - Sbagli: ti stanno facendo fare il portatore d’acqua, i meccanismi elettorali sono altri, non farai un buon risultato. E rischi di fare del male anche alle tue altre battaglie, che sono quelle vere”. Così successe, prese poche centinaia di voti e ne rimase ferito: riteneva di avere inciso di più, di meritare maggiori riconoscimenti. Con minor ardore, continuò comunque a impegnarsi, a lavorare, fino agli ultimi giorni. E io credo che un segno lo abbia lasciato in tutti noi che lo abbiamo conosciuto e apprezzato.

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