Antonio Gazzoletti, poeta
Un patriota dimenticato
È questo uno [...] fra i quasi dimenticati che meno hanno meritato la quasi dimenticanza in cui l’opera loro è caduta. Come uomo, fu tra le figure più simpatiche del nostro Risorgimento”: così si apre la sezione dedicata ad Antonio Gazzoletti della bella antologia in quattro volumi della vecchia B.U.R. I poeti minori dell’Ottocento, a cura di Ettore Janni (1955).
Nato a Nago nel 1813, laureatosi avvocato a Padova nel 1835, Gazzoletti fu un protagonista di primo piano della rivoluzione del 1848 a Trieste, la città nella quale si era stabilito per svolgere la sua professione e dove aveva partecipato a intense esperienze letterarie nella cerchia del periodico “La Favilla”.
Nel gennaio del 1849 fu eletto nel collegio di Rovereto a rappresentare il Trentino nell’Assemblea Costituente a Francoforte, dove si mosse in coerenza agli obiettivi nazionali già tracciati, vale a dire lo svincolo dalla Confederazione germanica e l’autonomia dal Tirolo tedesco. Al suo rientro fu arrestato e incarcerato per tre mesi a Padova, accusato di sovversione e poi assolto (in un processo le cui carte sono state rinvenute e studiate a suo tempo da un altro trentino-triestino, Giuseppe Stefani, ricavandone uno dei pochi contributi biografici significativi, Antonio Gazzoletti nella rivoluzione del Quarantotto, Trieste 1935).
L’esperienza della prigione diede occasione ad alcune delle sue poesie più persuasive all’occhio di un lettore contemporaneo (l’intera opera poetica di Gazzoletti si trova in Google libri). Troppo facilmente cantabili, troppo intrisi della retorica corrente, dovettero apparire invece ai lettori esigenti testi come il popolare La patria dell’italiano, inno antileghista ante litteram, del quale citiamo come esempio una strofa: “Dovunque all’ombra dei tre colori, / in fermo accordo, fraterni cori / stanchi del vile lungo servire / giurar di vincere o di morire, / e al vinto amica stender la mano, / è la gran patria dell’Italiano”.
In quella patria grande e unitaria Gazzoletti sperava fosse presto incluso anche il suo Trentino. La battaglia giornalistica e politica in questo senso caratterizzò il suo impegno negli anni cruciali del processo di unificazione, che visse a Torino e a Milano. Nel maggio 1860 fu eletto nel parlamento che da subalpino andava trasformandosi in italiano, rimanendovi peraltro per pochi mesi. Nel dicembre dello stesso anno pubblicò La questione del Trentino, un testo che sosteneva con forza la necessità di connettere la causa della terra natale con quella, di inesorabile evidenza, dell’annessione della “Venezia”.
L’opuscolo, denso di argomentazioni storiche e politiche, è stato riedito ora, in occasione del 150°, dall’associazione roveretana “Il furore dei libri”, credo con poca spesa e sicuramente con intuizione felice. Il semidimenticato patriota di Nago può essere riproposto anche per questa via all’attenzione di un’area più vasta di quella degli studiosi specialisti (i quali peraltro, salvo poche eccezioni, non se ne sono occupati con particolari cure).
Tra i cultori più appassionati del Gazzoletti vi fu costantemente Cesare Battisti, che gli dedicò nel 1895, ventenne, uno dei suoi primi studi pubblicati, e che nell’anno del centenario della nascita (1913) ne ripropose la figura in un tour di conferenze molto seguito. Alla solenne inaugurazione del busto in Piazza Dante, Ferdinando Pasini (un altro intellettuale trentino divenuto triestino...) ne indicò a sua volta a modello la prospettiva umanitaria: “Si vendica dei nemici col chieder giustizia anche per essi; invoca per la Germania un’era di pace, di progresso e di fratellanza con l’Italia; riabilita gli Slavi di fronte agli italiani, condanna i Magiari ingiustamente ritenuti fratelli [...], e lascia si può dire a testamento della sua vita le parole di Paolo di Tarso: Tempo verrà in cui ‘Non l’idolatra e lo stranier, ma solo / vedrem l’uomo nell’uomo...’ (“Il Popolo”, 17 marzo 1913).