Ciao, Nadia...
Ciao Nadia! Vorrei ringraziarti perché cinque anni fa mi hai creato dal nulla, con l’umiltà dei dilettanti che han voglia di provare. Hai impastato il tuo nome con la tua vita, usando la parola scritta per dar voce a quello che avevi dentro e ottenendone un altro punto di vista. Perché quando non si possiede padronanza di linguaggio, spesso le parole non dicono quel che dovrebbero. Per questo scrivere ti fa bene. Riordini i pensieri, li semplifichi, fai una sintesi e li rendi chiari. Non ti fermi al singolo fatto, ma in tutto l’insieme cerchi senso e collegamenti. T’ingegni a ricercare la parola giusta per esprimere un concetto. Freni l’impulsività. Trovi altre parole per dire le cose. Le prime che escono precipitose potrebbero ferire, mentre le seconde forse fanno riflettere.
Sei venuta a bottega in redazione, con il timore di essere messa sulla graticola per ogni tuo errore. Ogni volta con la solita sensazione di essere nel posto sbagliato. Senza idee chiare su ciò che volevi fare. Imparando poco a poco. Numero per numero. Senza fartene un vanto, perché non sei “tinta di arie”, come potrebbe talvolta pensare spazientito il direttore. Ma non me ne volere Nadia, gli darei ragione, non sei mai stata una persona facile. Leonessa graffiante, insofferente a ogni forma di altrui potere.
Tramite me ti sei costruita un’immagine più stabile. Quando si ha la struttura portante fragile, è bello contare su punti di appoggio saldi: punto, virgola, punto e a capo... Questa vita non sarebbe bastata per farti credere in te. Sembravi predestinata. Quando sei nata, una delle tre fate sicuramente ti aveva lasciato nella culla, come dono, il manuale “È sempre colpa tua!”. E troppe volte lo avevi sentito dire, gridare, credere, dare per scontato. Autostima zero. Certo, queste tue pubbliche esternazioni sembrano le tesi della difesa. Speri in una giuria che ti assolva per insufficienza di prove, con l’obbligo della costruzione dell’amore per te stessa? Perché non ci provi?
Ti sei levata la buccia parlando di te senza ipocrisia. Sfidando la mentalità materna (tipica di molti trentini) che suggeriva: “Racconta meno che puoi delle tue disgrazie perché gli altri ridono!”.
Se c’è qualcuno che ha riso delle mie sventure non me lo dica mai. Nemmeno se ha pianto, perché sarebbe eccessivo. Non so bene cosa vorrei. Forse un sentimento di partecipazione? Ecco... “Partecipare sinceramente alla sofferenza di un altro”.
Oh mamma! No... questa è pessima, ma te la sei cercata. Vorresti ricevere le condoglianze in vita?
No, vi prego. Va benissimo la partecipazione con empatia.
Senza la paranoia di apparire te stessa, forse sei risultata piacevole anche dentro. Sicuramente femminile, con un pizzico di classe e vanità perché resti sempre tu, anche se convivi con un’indisposizione fatale. Poi ti sarebbe piaciuto sapere se apprezzavano come scrivi e quello che dici. Quindi ti hanno fatto molto piacere le mail di qualche lettore che ti segue con interesse. Alcuni, Letizia e Alessandro, hanno voluto conoscerti di persona. Consensi preziosi perché questo spazio non è cronistico, informativo, e se lo è, riguarda casomai la cronaca degli stati d’animo. Non do nemmeno consigli o ricette... D’accordo, sì. Più che una pagina è un intervallo. Dove si sospende il giudizio e si lascia prevalere il piacere di fermarsi qui, per sentire che aria tira.
Con tanto affetto, tua
Io tinta di aria