Argentina: i pensionati e la crisi
Lo Stato e la riforma del sistema pensionistico
Nel contesto della crisi finanziaria mondiale, il Parlamento argentino ha appena approvato la statalizzazione dei fondi pensione privati, creati nel 1993 sulla scia delle riforme neoliberiste dell’amministrazione Menem. Mentre il governo difende il ritorno a un sistema pensionistico solidale, l’opposizione alza la voce e accusa la maggioranza peronista di voler utilizzare queste risorse per coprire le necessità di cassa dello Stato.
“Il settore pubblico ha deciso di andare in aiuto al settore privato allo scopo di ripristinare il valore della solidarietà del sistema a ripartizione. I soldi dei nostri pensionati non possono essere preda della speculazione. La pensione non può e non deve essere un negozio”. Con queste parole, la presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner ha presentato lo scorso 21 ottobre il disegno di legge di statalizzazione delle risorse degli AFJP, i fondi pensione privati creati negli anni ‘90 da Domingo Cavallo. Dottorato in Economia a Harvard e difensore delle politiche neoliberiste del cosiddetto “Consenso di Washington”, Cavallo occupò il Ministero delle Finanze tra il 1991 e il 1995 e nuovamente nel 2001, dando avvio a un accelerato processo di privatizzazioni e riforme strutturali concordato col Fondo monetario internazionale (Fmi).
Il sistema integrato delle pensioni, nato nel 1993, prevedeva una prestazione base universale (pbu), a carico dello Stato e aggiornata annualmente, per tutte quelle persone che avessero maturato i requisiti per l’accesso, cioè 65 anni d’età per gli uomini, 60 per le donne, e 30 anni di contributi. Garantita quella prestazione, il lavoratore poteva scegliere se versare i suoi contributi sociali nel regime a ripartizione gestito dall’Amministrazione nazionale della sicurezza sociale (Anses), oppure consegnarli agli amministratori fondi pensione privati (AFJP). In questo secondo caso, i soldi venivano investiti in titoli e azioni e capitalizzati in conti individuali.
Una volta pensionati, gli affiliati al regime a ripartizione avrebbero dovuto ricevere una prestazione addizionale per permanenza (pap) stabilita dallo Stato in base al loro stipendio medio negli ultimi dieci anni di attività lavorativa, mentre gli iscritti agli AFJP avrebbero avuto accesso a un reddito vitalizio integrato dai risultati degli investimenti fatti dagli amministratori privati. Il testo originale della legge stabiliva che, nel caso fossero passati novanta giorni senza che il neo lavoratore avesse comunicato la sua scelta, questo veniva automaticamente iscritto in un AFJP. In futuro avrebbe potuto cambiare l’amministratore, ma non gli era consentito di trasferirsi al regime a ripartizione. Era invece possibile passare, in qualsiasi momento, da quest’ultimo al regime a capitalizzazione.
Come si vede, una secca propensione per i fondi a capitalizzazione, invertita nel 2007 quando venne varata una nuova riforma che prevedeva l’iscrizione automatica dei neo pensionati “indecisi” al regime a ripartizione e garantiva inoltre agli affiliati degli AFJP, per un’unica volta entro un periodo di 90 giorni, la scelta se confermare o meno l’iscrizione al regime a capitalizzazione.
Veniamo alle cifre: 9,5 milioni gli affiliati al regime a capitalizzazione, 5 milioni a quello a ripartizione. Con che risultati? Secondo una proiezione del giornale Página 12, un lavoratore con un ultimo stipendio di 2500 pesos (602 euro), con il sistema a ripartizione avrebbe ricevuto una pensione di 1.083 pesos (260 euro), mentre in un AFJP avrebbe ricevuto 883 pesos (212 euro). La differenza è dovuta, in parte, alla svalutazione dei titoli pubblici dello Stato - i famosi tangobond - rinegoziati dopo la crisi del 2001-2002. Ad aggravare questa situazione si è aggiunta, negli ultimi due mesi, la caduta delle azioni di alcune società quotate in Borsa che sono in mano agli AFJP. Per quanto riguarda i titoli di Stato, bisogna sottolineare che rappresentano il 55% degli investimenti degli AFJP.
Questo fino ad oggi. Ora, con la statalizzazione dei fondi pensione privati voluta dalla Kirchner, l’Anses - l’Inps argentino - amministrerà a partire dal gennaio 2009 i 78 miliardi di pesos (18 miliardi di euro) investiti dagli AFJP per conto dei loro affiliati. Questa, secondo i parlamentari dell’opposizione di destra, è una “violazione del diritto di proprietà” dei futuri pensionati, mentre secondo la maggioranza dei giuristi si tratterebbe invece della salvaguardia di un “diritto di aspettativa”, dal momento che lo Stato riconoscerà loro, al momento di andare in pensione, i contributi versati e amministrati in questi ultimi 15 anni dagli AFJP.