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Noi e loro

Armando Stefani

Sento un vocìo che si propaga e si autoalimenta; un risentimento e un incattivimento collettivo che trova nutrimento dentro le infinite frustrazioni umane, vere o immaginarie che siano. Un meccanismo vecchio come il mondo, che si sostenta delle carnevalate politiche e coagula i sentimenti peggiori degli esseri umani fino a far perdere loro qualsiasi parvenza di razionalità.

Vengono alla mente pagine di libri e immagini di film che ricordano la facilità con cui gli individui impauriti si trasformano in branco eccitato, capace di vomitare odio verso il più debole, verso chi sta peggio, fino a trasformarsi in banda di giustizieri e aguzzini.

Siamo agli inizi di un vortice irrazionale dentro cui nessun ragionamento sarà consentito ?

Al solo scopo di mettere le cose al loro posto ricordo che a dicembre 2007 nel carcere di Trento c’erano 92 stranieri e che dall’ultima indagine svolta dal Sole 24 ore su dati del Ministero dell’Interno sappiamo che in Trentino, durante l’anno 2006, ci sono state 901 denunce tra borseggi, scippi, furti in abitazioni, a cui vanno sommate 91 denunce per rapina. Immaginando che il grosso di queste denunce siano state effettuate nei quattro centri più abitati (Trento, Rovereto, Pergine e Riva) possiamo desumere che negli altri comuni trentini ci siano state, nell’anno 2006, una o due denunce relative a borseggi, scippi, furti in abitazioni e rapine.

Transcrime (l’agenzia di ricerca sulla criminalità transnazionale) afferma che "la percezione dell’opinione pubblica in merito alla criminalità straniera è distorta" e fornisce un dato per tutti: quasi l’80% dei maltrattamenti sulle donne in Trentino è compiuto da italiani. Sempre Transcrime afferma che "l’equazione immigrato-delinquente è ingiusta e infondata. Gli immigrati regolari commettono pochi reati, molto meno degli italiani. Sono gli irregolari il problema, quelli che vanno in carcere per aver violato le leggi sull’immigrazione o per aver commesso i reati dei poveri, della marginalità, quelli per cui hanno più probabilità di essere denunciati" (Epolis 5-11-2007).

Purtroppo i media contribuiscono a questo incattivimento dando spazio ormai quotidianamente a notizie che parlano di furti e microcriminalità e a improbabili soluzioni che non meriterebbero neppure di essere riportate (vedi ad esempio l’acquisto di 10 casacche verdi) con il risultato di alimentare il senso di paura. Sbattono in prima pagina ogni atto delinquenziale di origine straniera e non contribuiscono sufficientemente ad offrire un quadro generale ed equilibrato del problema, ad informarci sul come vivono i 33.280 immigrati residenti in provincia (dati Istat 2006), quali problemi incontrano i 28.758 lavoratori extracomunitari assunti in Trentino nei vari settori d’impiego (ricerca Migra, 2006) e quali difficoltà burocratiche hanno dovuto superare i 3.146 imprenditori stranieri che esercitano un’attività autonoma in Provincia di Trento (dati Camera di Commercio di Trento 2006).

Abbiamo mai parlato in forma amicale con uno di questi lavoratori chiedendogli come si trova da noi? Abbiamo mai invitato qualcuno di loro alla nostra tavola? Ricordiamo ancora che la qualità della vita non dipende tanto dal pane, ma soprattutto dalle relazioni e dal riconoscimento sociale? Se facessimo lo sforzo di metterci nei loro panni potremmo udire la sofferenza, la paura e la rassegnazione di questi lavoratori!

Potremo percepirli come persone che provano sentimenti, che soffrono, che hanno bisogno di ritrovarsi e stare in allegria; in una parola li percepiremmo meno come persone pericolose e più come con-cittadini con cui dialogare sui rispettivi usi, costumi e religioni diverse.

Se per una volta parlassimo con loro, scopriremo padri di famiglia che sommessamente ci raccontano di come sia difficile convivere nei condomìni dove si viene giudicati per il colore della

pelle e madri che camminano a occhi bassi per non essere colpite dagli sguardi indagatori e accusatori. Siamo a conoscenza che un lavoratore straniero su quattro dichiara di subire discriminazioni sui luoghi di lavoro? Sappiamo che uno su due di questi ultimi rinuncia a difendersi per paura di perdere il posto di lavoro? (ricerca Migra 2007).

Mai come in questi momenti occorre saper trovare soluzioni ragionate.

Facciamo emergere la razionalità e il senso di solidarietà che appartiene alla storia delle nostre genti.

Non possiamo dimenticare, in quanto figli di emigranti, che negli anni ‘50 i giudici svizzeri, a partire dall’alto numero di reati compiuti da minori italiani, avevano aperto un dibattito chiedendosi "se non vi fosse una propensione culturale della popolazione italiana al furto". Il dibattito si spense appena la popolazione italiana acquisì un migliore status sociale, aprendo negozi e ristoranti e i reati diminuirono, ma gli stessi sospetti si appuntarono subito sui nuovi venuti, portoghesi, poi jugoslavi, infine turchi.

Ricordiamoci che le genti non rischiano la vita e non fanno migliaia di chilometri per il gusto di chiedere l’elemosina o sopravvivere in desolanti condomini di periferia, con servizi scadenti e lontani dalle persone care. Teniamo presente che la nostra economia, il nostro welfare, la nostra previdenza ed anche il nostro PIL non reggono senza di loro; non possiamo pretendere i loro servigi in orario di lavoro e che spariscano subito dopo. Il lavoro e la casa sono bisogni essenziali per chiunque; favorirli significa sostenere una convivenza serena; significa alimentare gli affetti e la dignità per entrare dentro un circolo virtuoso.

Nessuno ha interesse a difendere i delinquenti, autoctoni o stranieri che siano. E’ assolutamente necessario che costoro paghino pesantemente e con certezza i loro debiti, che chi non accetta le regole di convivenza venga allontanato dai condomini e dalle comunità trentine, ma non dobbiamo cadere nell’errore di associare l’immigrato allo scansafatiche e al delinquente.

Fra "noi" e "loro" c’è oggi una relazione di interdipendenza economica (lavoratori indispensabili nelle industrie, alberghi, cave, ecc.) e sociale (badanti in particolare) di cui dobbiamo prendere consapevolezza; chi nega questa realtà gioca pesante sul futuro di tutti noi.

Ogni buon trentino dovrebbe darsi da fare per far emergere il lato migliore delle società trentina, la capacità di accoglienza e di solidarietà verso i bisognosi, anche se di etnia, religione, lingua, costumi diversi.

Interessante la proposta di presidiare il territorio con manifestazioni pubbliche e il dinamismo delle entità/associazioni che presidiano il territorio quali "Cinformi", "Atas", "Tremembè", "Centro Bruno" e tante altre realtà sociali che lavorano a contatto con gli immigrati. Su questo sono in sintonia con le affermazioni del sindaco Pacher e del presidente Dellai.

Scriviamo lettere ai giornali, parliamo con le persone che incontriamo per sconfiggere l’idea che le ronde possano contrastare la microcriminalità e rappresentare una soluzione al problema, perché è esattamente il contrario: le ronde alimentano il senso di insicurezza e attivano la spirale violenta paura/difesa/repressione. A quando un grande appuntamento di controinformazione nelle piazze?