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QT n. 5, 12 marzo 2005 Monitor

Crosby & Nash: che strafighi!

Nostalgia, bravura, generosità ecc ecc: la valanga di sentimenti generati da un grande concerto di due splendidi sessantenni.

Torno su un discorso già fatto. Che ci può fare uno cresciuto in un periodo nel quale la musica (ed ero un fanatico di musica) rappresentava tutto un mondo di immagini, miti sogni, valori? Se ci finisci dentro secco a quindici anni nei primissimi anni ’70 e quella ti marchia a fuoco?

Mica hai delle capacità critiche particolari a quell’età e se una cosa piace agli amici più grandi, se si vestono come i musicisti delle copertine, se suonano in piazza quelle canzoni, se ti cerchi le traduzioni dei testi che parlano di pacifismo, di amore, spiritualità, viaggi, rispetto per gli altri, che fai, non le condividi e non ti becchi un imprinting irreversibile? E poi, fossi stato il solo, ma lì all’auditorium c’era una bella fetta di quella generazione e non mi dite che era solo per la musica, era il valore simbolico, politico ed iconografico di Crosby e Nash.

Ragazzi, era così; adesso potete dire di no, smentire, e tirarvi indietro, ma ditemi se tutti quanti noi all’epoca non abbiamo guardato ai gruppi rock come a delle specie di modelli per una società migliore, se non ci abbiamo scorto qualcosa di bello in un qualche momento illuminato dai flash e forse fin da allora l’abbiamo scambiato per una profezia che cercava di avverarsi. Era solo musica? Non era solo musica.

Va beh, lasciamo perdere, parliamo di musica. Accidenti, anche qua è dura venirne fuori. Di dischi allora ne avevo sì e no una ventina, sempre gli stessi sul giradischi. Gira e rigira mi sono rimasti appiccicati addosso e non so più se sono belli o no, talmente sono parte di me. Quindi non lo so, ma c’è qualcuno oggi che fa della musica anche lontanamente simile a quel folk rock blues soul libero creativo e innovativo che era "Déjà vu", "Wooden Ships", "Almost cut my hair"? Qualcuno capace di replicare l’alchimia vocale di "Guinnevere" o "Hour Haus"? Qualcuno che riesca a fare qualcosa che esca dalla forma canzone ed è musica, inno, clima, immagini, sentimento, energia? Qualcosa che trascenda la musica e si ponga (almeno per un momento illusorio) come forma ideale di vita? Non c’è.

Ma cos’è, il festival delle domande retoriche? Va beh.

Battezzati a Woodstock, sopravissuti a Nixon, Reagan, Clinton, Bush, Crosby e Nash sono tra quei dieci che restano nella storia. La fotografia di un momento lontano che ha però ancora i colori vivi di un film di Peckinpah.

Potevano esserci dubbi e perplessità. Vi abbiamo aspettato per un tempo infinito e voi vi presentate adesso, trentacinque anni dopo. A sessant’anni, magari bolliti, a speculare su una fama antica...

Col cavolo. Il concerto è stato splendido: suoni, voci, esecuzioni. E poi questi due tizi simpatici, disponibili, generosi (il concerto è durato quasi tre ore), in camicia maglietta bragonze stile Oviesse, e soprattutto bravi, bravissimi, milioni di chilometri dal mito che in realtà sono, a dare se stessi dal palco. Lì, con la vitalità dei nuovi brani e l’imperitura bellezza delle vecchie canzoni, a farci sentire che tutto ha ancora senso, lo stesso vecchio senso che vale ancora adesso.

Macché nostalgia! No, guardate, sono passati troppi anni per fare i nostalgici, siamo troppo grandi, esperti e smaliziati. Ci siamo beccati anche il punk e ce lo siamo goduti. Il fatto è che questa musica rimane bellissima e al concerto è tornata fuori una lunga, lunghissima condivisione. Ci siamo cresciuti con questa roba, ci eravamo dentro e adesso che ce la tirano addosso da un palco ci piace ancora un sacco nella forma e nel contenuto (accidenti!), è come se non fosse passato un giorno e siamo gli stessi quindicenni con la camicia a quadri e le chitarre in piazza Duomo.

Solo che questa volta loro sono veramente qui davanti a noi. Proprio loro, Crosby e Nash a cantarci "Marrakesh Express", "Long time gone", "Southbound Train", "Immigration Man", "I used to be a king", "Military madness".

"Déjà vu", certo, e che déjà vu. E "Wooden ships" così è, così doveva essere e così è stata.

Ma che strafighi!

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