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Caccia: ecologica o tecnologica?

Sparare a un animale da 200 metri è sport, da 500 è tiro a segno? I cacciatori dibattono...

"Si va nella natura, ci si avvicina all’animale, si gode della bellezza sua e dell’ambiente e se possibile gli si spara".

Così esprime la propria singolare filosofia un cacciatore "ecologico", uno di quelli che nella discussione nata attorno al presente e al futuro della caccia sostengono la protesta del presidente dell’Associazione Cacciatori, Claudio Betta, che sull’Alto Adige del 12 settembre esprime la sua indignazione per il progressivo diffondersi di tecnologie sofisticate (superfucili che uccidono da mezzo chilometro, cannocchiali potenti, telemetri laser per calcolare la distanza della preda…) che snaturano a suo dire il significato di questa attività: "Quelli non vanno a caccia, vanno al tiro a segno – dice Betta - La caccia vera è avvicinarsi al capriolo, al camoscio, al capo da abbattere a non più di 250 metri, vederlo, calcolare il tiro e poi sparare… Se passa questo nuovo tipo di pratica venatoria, va in frantumi la legittimazione stessa della caccia".

Della stessa opinione un cacciatore che così descrive i suoi colleghi hi-tech: "Arrivano in auto lungo le strade forestali, prendono la mira e sparano. Non hanno il controllo di niente, magari non recuperano nemmeno l’animale".

O, altrettanto facilmente - aggiunge un terzo - si limitano a ferirlo, mentre per certi animali bisogna assolutamente evitare "il rischio del ferimento… Dev’esserci la certezza dell’abbattimento". Una delicatezza, quest’ultima, che fatichiamo a interpretare.

Replicando a queste posizioni, il titolare di un’armeria introduce sinteticamente l’argomento principe dei cacciatori seguaci delle novità tecnologiche: il richiamo a quella modernità che vediamo sempre più spesso invocata per coprire porcherie in ogni settore: "La caccia – dice questo signore - si evolve esattamente come la formula Uno. Una volta si guidavano le carrette, ora invece degli autentici missili".

Ma una risposta a tutto campo arriva da un cacciatore di Ronzone, fra l’altro componente del direttivo provinciale dell’Associazione Cacciatori: anzitutto quel che conta, secondo lui, è che "i piani di abbattimento vadano rispettati… per garantire lo sviluppo della presenza degli animali nel territorio". Ciò detto, viene respinto qualunque richiamo alla caccia come sfida fra l’uomo e l’animale, vanificata da fucili che uccidono da una distanza di 500 metri; questo significa essere rimasti fermi a vent’anni fa, non essere moderni. Segue infine un curioso ragionamento tendente a ribaltare alcune argomentazioni degli avversari: "La novità è che gli animali sono stressati al pari degli uomini. La presenza continua di persone nei boschi e nelle montagne li ha resi più attenti, elettrizzati, sempre molto reattivi." Ergo, se stai a 200 metri, l’animale ti sente, si muove e magari resta solo ferito. Invece "a 500 metri l’animale è perfettamente inquadrato nel cannocchiale, il telemetro indica la distanza, tutto è tranquillo perché non può sentire l’uomo e quindi il colpo ha molte più probabilità di andare a segno". Una specie di eutanasia, insomma.

Il giornalista insiste: sì, però arrivare in quota con la macchina e sparare dalla strada non è molto sportivo.

Drastica la risposta: "I tempi sono cambiati, basta pensare alla fretta che c’è nella nostra vita… I fuoristrada aiutano e non vanno condannati…"

Un ultimo aspetto curioso della vicenda deriva dal fatto che il dibattito si intreccia col prossimo rinnovo della presidenza dell’Associazione Cacciatori, a cui Betta ha già annunciato di non voler partecipare. Al che, con atteggiamenti buffamente "politici", c’è qualcuno che, avendo in animo di candidarsi, preferisce non esporsi per non alienarsi le simpatie dell’uno o dell’altro schieramento. Come l’ex candidato a sindaco di Trento Claudio Eccher, che si defila limitandosi a constatare quello che già si sa, e cioè che i fucili contestati non sono proibiti dalla legge. O l’attuale vicepresidente dell’Associazione: "Se il presidente si è già espresso, non c’è ragione che si esprima anche il vicepresidente" - risponde al cronista. Il quale però insiste, al che la replica è un pomposo: "No comment".

Per finire, un dubbio. In questa accanita discussione dove deve collocarsi il non cacciatore? Con i cacciatori ecologici che "si avvicinano all’animale, godono della sua bellezza e se possibile gli sparano", e che considerano "sfida fra l’uomo e l’animale" sparare da 200 anziché 500 metri?

Probabilmente sì; allo stesso modo - il paragone è eccessivo ma rende l’idea - potremmo dire di preferire l’iniezione letale alla sedia elettrica. Ma senza grande entusiasmo.

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Commenti (1)

Fabio

A parte che a caccia i tiri oltre i 100 metri si fanno solo nella caccia di selezione (molto, ma molto poco diffusa in Italia), i 100 metri restano per il cinghiale in battuta (che in corsa non è affatto facile), invece il resto dei selvatici si tira ad una distanza massima di 35-40 metri, per cui è molto riduttivo e non sempre si tira...! Poi non pensate che avvicinare un capriolo a 200 metri di distanza sia facile, perchè a parte quelli che vedete negli zoo di solito sono dotati di sensi sviluppatissimi, capaci di udire e fiutare un uomo anche a 300 metri, ed anche il tiro a quelle distanze risulta impegnativo...! Non stiamo parlando dei videogiochi, mantenere la precisione a certe distanze non risulta facile come le chiacchiere...!
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