Salute in carcere: cattive norme e buona volontà
II nostro articolo Il diritto alla salute? Non entra in carcere (Questotrentino del 13 giugno scorso) ha creato nell'Azienda Sanitaria un certo trambusto, dovuto probabilmente a dei fraintendimenti. Ed ha suscitato le reazioni del medico del carcere, che ha visto colpita l'immagine della situazione sanitaria nel carcere di Trento. Sono quindi opportune alcune precisazioni.
In una conferenza stampa indetta dalla Lila (Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids), tenuta in occasione di una manifestazione nazionale per il diritto alla salute in carcere, erano stati messi in luce i problemi dei detenuti sieropositivi, derivanti da carenze e lentezze legislative.
Il quadro fornito rappresentava la situazione nazionale; all'interno di esso, la situazione trentina si differenzia; ma unicamente perché l'operare in sinergia del medico del carcere e del reparto di malattie infettive del Santa Chiara, ha permesso nonostante tutto di garantire, attraverso il prodigarsi personale degli operatori, il diritto alla cura. Per esempio, mentre nella grande maggioranza delle carceri italiane non è possibile per i detenuti sieropositivi usufruire di indispensabili strumenti farmacologici (i cosiddetti inibitori della proteasi), a Trento questo è stato sempre garantito; e lo stesso vale per le visite specialistiche, che solo ora (e solo per il carcere di Trento, non ancora per quello di Rovereto) sono istituzionalmente garantite da una convenzione fra l'Azienda Sanitaria e l'istituto penitenziario.
Sottolineati questi distinguo che peraltro già apparivano nel nostro articolo rimane il problema generale. Se a Trento vengono rispettati i diritti minimali (cioè che all'ammalato vengano fomiti i f armaci), resta il discorso di fondo, di come garantire il diritto della persona anche se carcerata alla salute (e in certi casi, come appunto quando si tratta di Aids, la malattia è attualmente incompatibile con lo stato di carcerazione); e garantire contemporaneamente il diritto della società alla sicurezza. Su questo si aspettano provvedimenti legislativi, tendenti alla custodia dei detenuti sieropositivi in strutture protette diverse dal carcere: ma su questo si è in clamoroso ritardo.