“Cittadini, non pecore”
"Cittadini, non pecore". L'insegnamento civile del preside Betta, nella memoria di un allievo riconoscente.
"E' un piccolo manuale, probabilmente destinato alla scuola, nel quale si espone la Costituzione della Repubblica Italiana, con l'intento per se stesso lodevole di educare civilmente e politicamente il cittadino democratico. "
Inizia così la severa stroncatura che "La Civiltà Cattolica ", autorevole rivista dei Gesuiti, pubblica sul quaderno 2453 del voi. Ili dell'anno 103 in data 6 settembre 1952. Ne avevo una copia dattiloscritta, infilata nel saggio di Bruno Betta "La Costituzione. Esposta sistematicamente e commentata con le nozioni fondamentali per un cittadino democratico". La ho a lungo cercata, ma non l'ho trovata nella mia libreria governata da molto disordine e sconvolta da più di un trasloco. Il direttore della biblioteca, cui riferisco la mia ricerca e la severità della recensione, mi dice: "Essere nella bibliografìa de "La Civiltà Cattolica", anche con una stroncatura, è una sorte privilegiata riservata a pochi, e non certo ai peggiori. "
E tuttavia il pezzo chiudeva con un giudizio ingeneroso quanto ingiusto: "Dopo quanto è stato molto succintamente notato, si può concludere che il presente libro può solo giovare a diseducare il cittadino democratico, imbottendogli il capo di concetti molto vaghi e poco esatti, di valutazioni tendenziose, di pregiudizi e di errori. "
Posso, da allievo di Bruno Betta, certamente non il migliore, né il più diligente, testimoniare tuttavia della ingiustizia dell'analisi, e delle ingenerosità del giudizio, legati ad un momento storico in cui prevalse lo scontro sul dialogo, la chiusura sul confronto, non di rado la scomunica. Il saggio di Bruno Betta costituisce la base di quella che considero, senza nulla togliere al resto, la parte più originale e più formativa del suo insegnamento.
I miei compagni di liceo ricorderanno certamente il metodo del dialogo e la funzione maieutica che egli ne rivendicava all'esercizio praticato con domande e risposte tali da spingerci a ricercare dentro di noi la verità, determinandola in maniera il più possibile autonoma. Non c'era campo più indicato per applicare questo metodo di lavoro della riforma costituzionale appena approvata, che lasciava agli interpreti un importante spazio interpretativo.
Non è questa la sede, ma è necessario ricordare che la Costituzione per molto tempo fu considerata dai molti, che stentavano ad accettarne i principi allora, e non soltanto allora, rivoluzionari, come un "programma" normativo più che non legge vigente fin dalla sua adozione. Il saggio di Bruno Betta rivendicava l'attualità dei principi costituzionali ad ogni rapporto regolato, per cui si può ben dire che Egli fu uno degli inventori dell'educazione civica, intesa non tanto come una materia in più da studiare - come Egli amava dire - ma come un modo nuovo di interpretare l'insegnamento e l'apprendimento di tutte le materie tradizionali.
Nello sforzo di promozione dell'autonoma capacità critica dei suoi allievi, Bruno Betta fra i primi introdusse nella scuola la lettura dei quotidiani, insegnandoci a leggerli in maniera avveduta, sapendo distinguere, anche dalla allocazione dei pezzi, oltreché naturalmente dal loro rilievo, il taglio dato dalla proprietà alla notizia.
"Cittadini, non pecore" è il messaggio più frequentemente bandito, e che ci ha lasciato, adottando uno slogan, quasi incompatibile con la sua vocazione al ragionamento, per accentuarne la valenza. "Cittadini, non pecore " è anche il titolo del dibattito che "Cultura Viva" promosse proprio con lui relatore negli anni '60, testimoniando con ciò che il processo di democratizzazione della società è un processo lento, non facile, il cui successo è sicuramente legato a figure come quella di Bruno Betta.
"Dimenticherete molte delle cose che vi ho insegnato - ripeteva spesso - non dimenticate però mai di ricercare la verità, con spirito critico e con tenacia. "
Gliel'ho ricordato nell'ultimo incontro che ho avuto con lui, in una camera al S.Pancrazio di Arco, dove l'ho visitato nel corso di una degenza assieme al comune amico Giorgio Jellici. "Professore, aveva ragione: ho dimenticato molte delle cose che Lei mi ha insegnato; spero di non aver dimenticato la più importante".