“La mescolanza è una scuola del sapere”
Qualcuno propone le classi differenziali per scolari di madrelingua italiana e figli di migranti.
Il problema – che ormai riguarda tutta Europa – dell’inclusione/esclusione scolastica esplode a Bolzano, a causa dell’iniziativa improvvida di una preside. Ne sono seguite un paio di settimane di polemiche infuocate, poi finalmente è tornato il buon senso. Un contributo importante l’ha dato la scienza linguistica, che ha introdotto in un dibattito pubblico piuttosto miserabile, alcune cose che sarà bene ricordarsi per le prossime occasioni.
Il fatto. La scuola elementare Goethe, situata in piazza Madonna, una delle zone più benestanti di Bolzano, 484 scolari, 30 classi, quindi circa 16 scolari e scolare per classe, ha istituito in agosto, in vista della riapertura delle scuole (5 settembre), una classe differenziale per bambini non di madrelingua tedesca. Cioè di madrelingua italiana e di famiglie migranti.
Le famiglie italiane e migranti cercano di mandare i figli nelle scuole di lingua tedesca. Significa dare loro maggiori occasioni di successo in futuro. Ed è l’unico modo sicuro affinché i bambini imparino la seconda lingua. Come ha detto Paul Köllensperger, “il partito dominante da 70 anni non è stato capace di creare un sistema scolastico adeguato alle esigenze di bilinguismo, e oggi plurilinguismo, della realtà attuale”.
La cosa ha destato clamore, perché in Italia le classi differenziali sono state abolite nel 1977, quando è nata la figura dell’insegnante di sostegno. Fino ad allora in quelle classi venivano concentrati bambini con problemi fisici e psichici, disabilità diverse fra di loro. Il principio di separazione o ghettizzazione è lo stesso se si parla di bambini di diversa madrelingua. Infatti la vicepresidente di AEB, Arbeitskreis Eltern Behinderter, associazione di genitori di persone con disabilità, ha dichiarato, allarmata: “Classi separate: un passo indietro di 45 anni. All’AEB suonano i campanelli d’allarme. Invece che all’inclusione, si sta pensando alla segregazione o, peggio ancora, alla selezione. Abbiamo lottato inutilmente e i nostri figli saranno i prossimi?”.
La polemica che si è accesa ha incrociato accuse ed esagerazioni, e soprattutto molta disinformazione su come funzionano le scuole in Sudtirolo nel tempo della grande migrazione in un mondo che si sviluppa in una direzione sempre più multiculturale e plurilingue.
Il capogruppo in Consiglio provinciale della Svp e il segretario politico hanno sostenuto la preside e annunciato l’istituzione nel partito di un gruppo di lavoro per la protezione della madrelingua tedesca. Hanno citato l’art. 19 dello Statuto, che garantisce l’insegnamento in madrelingua ai bambini sudtirolesi di lingua tedesca. Un articolo che per anni è stato strumentalizzato per impedire innovazioni nell’insegnamento del tedesco nelle scuole italiane e la creazione di scuole bilingui. Sono volate parole come razzismo e ghetto.
Chi scrive è convinta che il modello trilingue delle valli ladine sarebbe una base ideale per affrontare la questione. E lo sarebbe anche ascoltare gli insegnanti che lavorano da anni con bambini di diverse lingue, e le cui proposte e richieste di risorse e insegnanti di sostegno in numero sufficiente, vengono ignorate dalle istituzioni. Ma si sa che l’ideologia separatista (accompagnata dall’ignoranza della linguistica) è ancora molto diffusa in Sudtirolo. Qui fra i politici c’è ancora chi crede che chi impara un’altra lingua disimpara la propria.
Ferma ma sorprendente la posizione dei partner italiani di giunta della Svp, che fanno parte di partiti che a Roma fanno le stesse proposte della scuola Goethe, mentre qui i Fratelli la accusano di essere anticostituzionale.
Non è mancato (Manifesto e altri) chi ha fatto notare la contraddizione. Speriamo che l’alzata di scudi contro la “pulizia” delle scuole non sia solo perché a essere allontanati sarebbero qui anche bambini italiani.
La proposta di istituire Sonderschulen (scuole speciali) per i bambini e le bambine con madrelingua non tedesca, in Baviera è stata fatta di recente dal partito neonazista AfD. In Austria esistono le Sonderschulen, dove su richiesta dei genitori o per decisione delle autorità scolastiche vengono mandati i bambini diversamente abili e ora anche bambini di famiglie non di madrelingua tedesca. Esiste finora una libertà di scelta. Tuttavia, secondo l’Österreichischer Behindertenrat, (Consiglio austriaco dei diversamente abili), nonostante le famiglie difficilmente scelgano le scuole differenziali, quasi sempre devono tornare indietro, perché in quelle normali pubbliche non ci sono le condizioni per garantire la parità concreta ai bambini diversamente abili (barriere architettoniche e mentali, assistenza inadeguata, sostegni carenti). Nelle scuole speciali terapisti e assistenza ci sono, ma la si paga caro: la conseguenza è la mancanza di amicizie e scambi sociali con i bambini “normali”. Per chiedere un cambiamento, ci si appella alla Convenzione delle Nazioni Unite (2006) sui diritti delle persone diversamente abili, che prevede che il sistema scolastico sia organizzato in modo che le scuole e gli asili speciali non servano più e che non vengano più frequentati.
In contraddizione con le prime forti prese di posizione del suo partito, il presidente Kompatscher e l’assessore provinciale alla scuola tedesca hanno criticato l’iniziativa della preside e si sono dichiarati per una scuola inclusiva e aperta a tutti. Ciò non toglie che in Sudtirolo ci siano tre sistemi separati: tedesco, italiano e ladino, ognuno con le sue pesanti strutture burocratiche. In nessuno dei tre è prevista l’esistenza dei bambini bilingui, che vengono ignorati nelle loro esigenze e nelle loro potenzialità.
Tornando alla vicenda della scuola Goethe, per fortuna la polemica sgangherata è stata interrotta da voci di chi se ne intende. Dall’Università e dai luoghi di ricerca, e anche dalle scuole tedesche che in zone più popolari da molti anni vivono esperienze di plurilinguismo, anche difficili e con scarsi sostegni, sono arrivati sui mass media dati, esperienze e obiettivi pedagogici.
Ne è emersa anzitutto una realtà ben diversa da quella paventata dai politici di destra tedeschi. In una conferenza stampa convocata in tutta fretta per il 2 settembre (le scuole aprivano il 5), il Direttore per l’istruzione e la formazione tedesca e l’Intendente scolastica per la scuola tedesca hanno smentito che nelle scuole di lingua tedesca il numero di bambini e bambine di madrelingua siano meno di quelli di non madrelingua. Nelle scuole di lingua tedesca la percentuale di non madrelingua tedesca è il 9%, in quelle italiane il 23,9 e in quelle delle valli ladine il 7. Per sostenere le classi con bambini che ne hanno bisogno, gli insegnanti di sostegno linguistico sono aumentati da 49 a 159, hanno detto. Sono numeri ancora troppo bassi.
Cosa dice la scienza
Non è vero quanto detto sia dalla preside che dall’assessora alla cultura del Comune di Bolzano, che molti genitori mandano i loro figli nei paesi intorno a Bolzano per salvaguardare il diritto all’uso della propria lingua. Anzi, il numero di bambini e bambine che si spostano da fuori verso il capoluogo per andare a scuola è maggiore.
La questione della scuola ha una lunghissima tradizione di origine di conflitti, fin dall’inizio della nascita dei nazionalismi nella seconda metà dell’Ottocento. Il ricordo del fascismo e della sua politica di snazionalizzazione attraverso l’abolizione delle scuole in lingua tedesca ha lasciato un ricordo indelebile e un timore oggi di fatto ingiustificato, difficile da dimenticare. Dopo la chiusura della vertenza internazionale sul Sudtirolo nel 1992, c’è stato, da parte della Svp, un colpevole rifiuto di agire per educare le nuove generazioni alla nuova complessità all’interno dell’Autonomia. Ogni proposta di adeguare la scuola è stata rifiutata e anche boicottata. Così la scuola, anzi, le scuole, vanno ognuna per la propria strada, ben separate. In quella italiana, gli scolari e gli studenti, per quanto le ore di tedesco siano moltissime, non riescono ad arrivare a una conoscenza adeguata. Kompatscher dice: non ci sono più divieti, nella scuola italiana si può fare di tutto. Ma mancano i docenti di lingua tedesca.
Il professor Luca Fazzi, sociologo all’Università di Trento, ha ben spiegato la situazione attuale: “Essendo ormai quello tedesco il gruppo dominante a tutti i livelli della vita politica, economica e sociale, è più che ovvio che molte famiglie abbiano la legittima aspettativa di fare imparare ai loro figli la lingua che apre la possibilità dell’integrazione e dell’ascesa sociale”.
E guardando al futuro, senza tralasciare la questione dell’identità, dice anche: “È inevitabile e ovvio che la società locale sarà composta sempre più da gruppi di popolazione con lingue, culture e religioni diverse. Separare questi gruppi significa minare le basi fondanti della fiducia su cui qualsiasi società si fonda. Aprire le scuole all’incontro tra diversi non vuole dire perdere la propria identità, anzi eventualmente significa renderla in prospettiva più matura e capace di vivere nella complessità”.
Dario Ianes, Professore di Pedagogia e didattica alla LUB in un’intervista all’Alto Adige, - il cui titolo è una sua illuminante dichiarazione, “Non fa bene a nessuno ripulire le scuole per tutelare chi sa di più”, - ha affrontato la questione da un altro punto di vista, respingendo l’invito a entrare nelle polemiche: “I dati dicono, dai centri di ricerca delle università, che l’eterogeneità, la mescolanza delle abilità e, attenzione, non solo linguistiche ma in ogni campo dell’apprendimento, portano a risultati migliori”. E dice anche: “L’inclusione, e questo secondo tutti gli studiosi di linguistica, favorisce proprio chi ha ad esempio per propria lingua madre il tedesco e si trova a collaborare con soggetti che hanno altre lingue dalla nascita. La collaborazione stimola l’aumento della qualità linguistica anche di chi parte in vantaggio”.
Andrea Abel, ordinaria di linguistica tedesca alla LUB, che dirige anche l’Istituto per la linguistica applicata all’EURAC, ha partecipato alla conferenza stampa delle autorità scolastiche in cui è stato annunciato anche il divieto per la classe separata alla Goethe. Abel ha detto parole che si spera vengano prese come stimolo per cambiare in meglio la scuola e soddisfare le richieste di tante scuole che fanno da sole nell’indifferenza delle istituzioni scolastiche (ancora molto permeate dall’ideologia separatista): “Il monolinguismo nella formazione scolastica - ha detto - non è un concetto didattico, ma ha un’origine storica nella formazione degli stati nazionali nel XIX secolo”. Ha sconsigliato vivamente l’introduzione di classi speciali, che “gli studi scientifici dimostrano non ottenere migliori risultati e avere conseguenze negative sotto l’aspetto sociale e cognitivo”. Il plurilinguismo nelle scuole, al contrario, secondo la scienza, costituisce un valore aggiunto sia dal punto di vista cognitivo che socioculturale. La professoressa ha esortato a favorire una scuola più aperta e meno influenzata da pregiudizi ideologici. E non ha nascosto che servono investimenti in personale e risorse per il sostegno alla scuola plurilingue.
Mi piace qui ricordare il professor Rainer Seberich, che tanti hanno conosciuto e stimato in Sudtirolo per il suo impegno nella scuola tedesca, che ha scritto, già molti anni fa: “Una scuola che funziona solo secondo l’identità di un gruppo linguistico non può soddisfare le esigenze del mondo di oggi. La scuola piuttosto dovrebbe dare un contributo essenziale e irrinunciabile alla convivenza e alla collaborazione fra diversi gruppi linguistici”. Se la politica sudtirolese prendesse sul serio le sue parole e non continuasse a far prevalere l’ideologia etnica, la scuola – e non le scuole – del Sudtirolo ne avrebbe un grande vantaggio. .