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Insegnare l’italiano agli stranieri ci rende più sicuri

Cooperativa Samuele

Si fa presto a dire sicurezza, diverso è creare le condizioni perché questa sia garantita. Uno dei tagli di servizi più nefasti nell'ambito dell'accoglienza, a seguito dell’introduzione della nuova Legge n. 50 del 5 maggio 2023, è quello delle lezioni di italiano. E gli effetti di questa nuova norma nazionale si cominciano a vedere anche nella nostra provincia: i richiedenti protezione internazionale in attesa di permesso di soggiorno alloggiati nella Residenza Adige di Trento, quasi la totalità madri con bambini, non potranno infatti più disporre del servizio di insegnamento di italiano.

Come però impedire agli stranieri che vivono nel nostro territorio l’apprendimento della lingua renda più sicuro il nostro territorio, è cosa difficile da capire.

Ade, madre nigeriana di due bimbi che a giorni saranno finalmente inseriti nelle scuole elementari della città, dovrà seguire i figli a scuola, capire in che luogo si trova, gestire le sue faccende quotidiane, usufruire dei servizi di mobilità, cercare e svolgere un lavoro “provvisorio”, capire il mondo che la circonda. Tutto questo senza poter leggere, scrivere, comprendere la lingua ed orientarsi nel territorio in cui, probabilmente, dovrà vivere anni in attesa del permesso di soggiorno.

Come è naturale che sia, restringerà dunque i suoi rapporti alla cerchia del suo gruppo linguistico, cercando in quella comunicazione quel minimo di socialità che le consentirà di sopravvivere. Forse attenderà che siano i figli ad insegnarle la lingua della scuola, il cui apprendimento sarà tuttavia rallentato da un contesto casalingo in cui l’italiano non si parlerà mai, addossando ulteriori responsabilità e fatiche sulle maestre della scuola che frequenteranno.

Nel mondo scolastico sono tutti consapevoli, tra l’altro, che le difficoltà linguistiche quasi sempre coincidono con difficoltà nei comportamenti sociali.

Si fa presto a parlare di sicurezza assumendo come riferimento solo il criterio di riduzione dei servizi, senza considerare quanto la padronanza della lingua significhi conoscere, rispettare e stare nel territorio con la sua storia, le sue norme e la sua cultura. Non a caso il terzo articolo della costituzione recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Forse, in attesa del permesso di soggiorno, il termine “cittadina” non interessa Ade. Peccato però che lei viva attualmente a Trento.

Lo stop dell’insegnamento dell’italiano nella residenza Adige, inoltre, probabilmente non è che un anticipo dell’interruzione del servizio di tutte le altre residenze e interesserà dunque un numero sempre più significativo di migranti che gravitano sulla comunità trentina. Migranti che, oltre al caso di Ade, hanno bisogno di diversi livelli di insegnamento e, non disponendo del servizio presso le residenze, si rivolgono ai centri per adulti della scuola, dove sono note le criticità. Ne è testimone il Centro Eda di Trento, che ha visto quest'anno il boom delle iscrizioni, molte delle quali non potranno essere accolte. È allora importante che nella sua preziosa autonomia la Provincia di Trento non sottovaluti tale problematica che può essere affrontata solo se si pianifica un sistema articolato di servizi, integrando con risorse "locali" dove necessario e non adattandosi alla logica nazionale di finta sicurezza e di miope risparmio. Così facendo non disperderà il patrimonio di servizi di rete per l’insegnamento dell’italiano L2 che, anche grazie a Cinformi, è già operativo a livello di Comunità di valle e micro-territori. Un servizio che per anni, grazie alla collaborazione tra istituzioni pubbliche e terzo settore, ha contribuito a garantire il vivere civile nei territori e con questo la sua sicurezza.

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