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Per una buona sanità territoriale

Il Covid-19 ci ha dimostrato quanto siano importanti i presidi locali

Renata Attolini

Covid19 ha drammaticamente messo in evidenza le pecche di un sistema sanitario pubblico provato pesantemente dalla riduzione continua di risorse umane ed economiche, che ha colpito le strutture ospedaliere, ma che ha anche drasticamente ridotto la medicina del territorio. In questi mesi, con gli ospedali in emergenza, senza posti in terapia intensiva e con il personale ridotto allo stremo da turni massacranti, avremmo dovuto capire che questo, come sicuramente altri, è un virus al quale non si può permettere di arrivare in ospedale.

Dovremo quindi preoccuparci, per il futuro, di tutelare la salute pubblica sul territorio. Ogni Provincia, e a maggior ragione la Provincia di Trento, dovrà analizzare la situazione locale per definire piani sanità che mettano in atto strutture in grado di fare da filtro e ridurre il ricorso agli ospedali ai soli casi urgenti e complicati.

Purtroppo, fin qui, non è stato così. Nella nostra provincia, il piano sanitario della precedente Giunta provinciale ha dato il via ad una serie di riduzioni di personale e chiusura di reparti e servizi in strutture periferiche.

Siamo consapevoli che le nuove frontiere della medicina richiedono investimenti corposi in macchinari sempre aggiornati e in personale adeguatamente formato. Ne consegue la necessità di concentrare centralmente (a Trento nel nostro caso) tali dotazioni, realizzando un ospedale super-accessoriato e preparato ad affrontare diagnostiche e cure all’avanguardia.

Siamo anche pronti a comprendere ed accogliere le ragioni, soprattutto cliniche, che evidenziano rischi sanitari correlati alla modesta attività numerica e alla conseguente ridotta esperienza degli operatori.

Ma c’è un ma: il Trentino è una regione montuosa e non si possono sottovalutate questioni di tipo logistico, di viabilità, su un territorio montano complesso, che accresce le criticità durante le stagioni turistiche invernali ed estive, quando le strade delle valli sono ingolfate di traffico. Un piano che preveda la chiusura degli ospedali periferici per sostituirli con un ospedale super-specializato e super-accessoriato nel capoluogo, deve prevedere una soluzione in termini di mobilità, pena la creazione di notevoli problemi per le popolazioni delle valli più lontane e/o impervie. E non è certo cosa da poco.

Va inoltre considerato che gli ospedali di valle garantiscono alla popolazione la prossimità ai servizi di base e svolgono un ruolo rassicurante per il cittadino, che generalmente preferisce essere curato ed assistito vicino a casa, dove trova giovamento dal senso di appartenenza, dalla tranquillità del sentirsi parte della comunità. La centralizzazione quindi dovrebbe riguardare solo tecnologie diagnostiche avanzate e operazioni impegnative ma programmabili; per tutte le altre possibili opzioni gli ospedali di valle devono essere dotati di personale ed attrezzature adeguate, anche se questa scelta richiede investimenti di non poco conto.

Se quello che preoccupa è davvero la funzionalità degli ospedali periferici, se ciò che conta veramente per la pubblica amministrazione locale sono la salute e il benessere dei cittadini, non si possono fare scelte dettate solo da criteri di risparmio immediato, senza prospettive di lungo respiro.

Si potrebbe ipotizzare un modello provinciale dove, accanto ad alcuni ospedali di riferimento che abbiano tutte le specialità ed un’alta qualità, convivessero ospedali territoriali efficienti nelle branche di base, come la medicina, la chirurgia generale ed il pronto soccorso, e strutture ambulatoriali che sappiano fare uno screening dei casi nel campo della cardiologia, della nefrologia, ematologia, e altro ancora. Nel caso dell’ostetricia, ad esempio, le strutture, modulate sul numero delle gravidanze da seguire nel territorio, dovrebbero essere in grado portare a termine le gravidanze fisiologiche e depistare quelle patologiche verso il centro di riferimento centralizzato. Infine, se per il personale è importante praticare un certo numero di casi per poter essere all’altezza di affrontare la situazione, si potrebbe prevedere una rotazione periodica tra ospedale centrale ed ospedali periferici o opportuni stage formativi in strutture all’avanguardia.

Un’ultima ma non meno importane questione da affrontare è quella di valutare i modi più efficaci per fare prevenzione e, in caso di malattia, per ridurre le complicazioni mediche, risultato che automaticamente porterebbe con sé una riduzione della spesa sia per le famiglie che per la società.

Si tratta di affrontare con decisioni le possibili cause ambientali nell’aumento dei casi di molte patologie. Bisogna individuare e combattere i fattori che concorrono a fare del Trentino una provincia con un’elevata percentuale di tumori: pensiamo al traffico, ma anche all’uso di fitofarmaci in agricoltura e alla presenza di siti a rischio (in testa ex Carbochimica ed ex Sloi). Si deve provvedere a correggere gli stili di vita, che si sono rilevati dannosi per la formazione di tumori e patologie cardiovascolari, ma anche per lo sviluppo di forme di depressione e di sofferenze psicologiche di vario genere.

A fronte di tutto questo, non possiamo dimenticare che esistono fattori di disuguaglianza sociale che incidono pesantemente anche sulla salute, ai quali è indispensabile porre rimedio, ad esempio dotando ciascuno di una abitazione adeguata, organizzando forme di sostegno domiciliare e strutture protettive nei quartieri, rivalutando l’importante ruolo del medico di base, fornendo servizi che possono contribuire almeno parzialmente a sanare l’ingiustizia di una iniqua distribuzione del reddito.

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