Un piccolo grande uomo
La vita difficile e frenetica di Eugenio Pellegrini, fondatore e primo direttore di Questotrentino
Eugenio Pellegrini lo avevo conosciuto da giovanissimo. Eravamo al centro locale del “Manifesto” (inteso come gruppo politico) un’era geologica fa, e nella prima riunione con studenti delle scuole superiori, tra i diversi sedicenni ce n’era uno, un po’ discosto e nascosto, che colpiva per la sua bassa statura: “Nooo, anche i ragazzi delle medie, no!” pensai.
“Non sottovalutare quel piccolino” mi dissero. Bah. La settimana successiva i ragazzi tornarono con il loro compito svolto: un’analisi, che si voleva socio-politica, della propria scuola. Compiti fatti benino (tra di loro c’erano alcuni che sarebbero divenuti dei personaggi, come Paolo Borsato, oppure Giacomo Sartori, oggi residente a Parigi, autore di romanzi e racconti di spessore); ma tutti eclissati quando a leggere la sua relazione fu l’ultimo, il piccolino: un’analisi lucida, acuta della sua scuola (l’Enaip), cattiva quanto ci si può aspettare da un sedicenne arrabbiato, ma al contempo attenta al valore che deve rivestire la scuola, e in particolare quella scuola, forse negletta, la professionale. Così imparammo che il piccolino aveva grandi qualità; iniziammo a discutere dei passi successivi, e scoprimmo che aveva anche determinazione.
Fu sei anni dopo, alla soglia degli anni Ottanta, chiusa l’esperienza dei gruppi post-sessantottini, che Eugenio, ventiduenne, venne con Michele Zacchi a radunare me ed altri che insieme avevamo vissuto quelle vicende, e poi ancora Fabrizio Rasera, Mario Cossali e Aldo Marzari, già consigliere provinciale, con una proposta forte. Fondere e superare le precedenti esperienze, riversando la nostra voglia di impegno civile nella fondazione di un nuovo giornale, che scoprisse la società trentina e sapesse ad essa parlare: Questotrentino.
Così nacque questo giornale. Pellegrini, di gran lunga il più giovane, ma anche l’unico ad avere conoscenze tecniche specifiche maturate in diversi mesi di praticantato al “Manifesto” quotidiano, ne fu il naturale direttore.
Non era, lui così giovane in un gruppo di trentacinquenni con varie esperienze alle spalle, un direttore impositivo, e nemmeno egemone: aveva però un entusiasmo contagioso e una grande capacità di tessere relazioni. Il carattere bonario, l’eloquio popolano, la battuta facile ed acuta, il sorriso aperto, lo rendevano popolare non appena metteva piede in un bar, ma lo facevano anche entrare nel cuore a diversi pezzi grossi, che si aprivano con quel piccoletto, simpatetico ed arguto. Si prese sulle spalle la raccolta pubblicitaria e fece la prima, vera, grossa inchiesta, quella su Mariano Volani, l’ imprenditore trentino di (troppo) grande successo, che poco più tardi finì in carcere.
Poi Questotrentino rimase troppo piccolo per le ambizioni di Eugenio, e la redazione, molto più prudente, gli bocciava le sempre nuove, arrischiate, idee di espansione. Si mise così in proprio, lasciando la direzione di Questotrentino, e fondò Publiprint, un’idea molto brillante: a Comuni, sindacati, associazioni, forniva chiavi in mano i loro giornalini. Dovevano dargli testi e foto, e lui provvedeva a riordinare, impaginare, far stampare (a prezzi che loro mai avrebbero spuntato). Alla fine i committenti avevano, a minor prezzo, un prodotto professionale.
Naturalmente non si fermò lì: si dedicò all’editoria, pubblicando libri di denuncia come “Il Cavaliere di gomma” su Mario Marangoni, ma anche a livello nazionale, con alcuni titoli diventati famosi come “O’ ministro” su Paolo Cirino Pomicino, o “Sua Sanità” su Francesco De Lorenzo.
Fece anche grandi errori. La sua inesauribile voglia di ingrandirsi, la ricerca del grosso colpo a scapito del lavoro diuturno per consolidare quello che già c’era, gli eccessi di disinvoltura, lo portarono ad esiti disastrosi. Il più noto fu l’incendio doloso (che la magistratura attribuì a lui) del suo magazzino, con migliaia di copie di un libro di lusso di un (fantomatico?) committente keniota. Poi altre fesserie, che lo misero definitivamente a terra. Un giorno me lo disse: “Io ormai, per la gente, non ho più alcuna credibilità”. Era la cosa che più gli pesava.
Gli ultimi anni gli furono molto difficili.
Di lui però mi piace ricordare un episodio, e una dote. Era il primo anno di Questotrentino, c’era un problema in un quartiere di Trento, dove un gruppo di giovani sbandati destava preoccupazioni. Eugenio acutamente decise di farne un’inchiesta: frequentò, come sapeva fare lui, il quartiere, fece amicizie e raccolse pareri, tra cui quelli dei giovani balordi. Poi il capobanda gli rifilò un paio di pugni in faccia.
Non denunciò il fatto alla questura, come pure gli era stato suggerito; e scrisse un articolo sciapo, molto diverso da quello che ci aveva preannunciato. Eravamo già in tipografia quando ne discutemmo: “Avrete anche ragione – confessò – ma se scrivo come dite voi, quelli mi menano”. Rispondemmo in più d’uno, con durezza: se era facile a lasciarsi intimorire, era meglio che lasciasse perdere il giornalismo d’inchiesta. Cambiò qualcosa dell’articolo, che rimase comunque un pezzo inutile. Ma soprattutto, cambiò lui: da allora non ebbe più paura di nessuno.
Ma proprio di nessuno: non di industriali e di politici potentissimi (anche se riuscirono a boicottargli la casa editrice), non di corrotti o malavitosi; per un certo periodo visse con la scorta sotto casa, e con addosso un giubbotto antiproiettile datogli dalla polizia. “Se uno il coraggio non ce l’ha, non se lo può dare” diceva don Abbondio. Eugenio Pellegrini seppe dimostrare il contrario: decise che doveva essere coraggioso, e lo fu. Sempre.
Per questo è giusto quello che gli amici più stretti dicono di lui. Ne ha fatti di errori, ma è stato un piccolo grande uomo.
Il mio ricordo di Eugenio
La morte improvvisa di una persona come Eugenio mi richiama a un bilancio della mia vita. Io l’ho incontrato, l’ho conosciuto giovanissimo, nel momento in cui gli dicevo il mio “no”. Lui - era la primavera del 1980 - insisteva perché entrassi nella redazione di Questotrentino, il giornale che aveva in mente. Ma per me quegli anni erano di impegno attivo, continuo, in ambito sindacale e politico. Anche ecclesiale: si trattava di recepire il Concilio Vaticano II. Era un impegno che sfiorava la frenesia. Era da poco nato l’Invito, la rivista fondata da Piergiorgio Rauzi e da lui diretta fino alla morte, che ha anticipato di poco quella di Eugenio. Piergiorgio firmò su Questotrentino fin dal primo numero.
Eugenio, a distanza, era interessato allo sforzo di rinnovamento ecclesiale, a una religione che interpellava la politica e da essa si lasciava interrogare.
Io non entrai nella redazione, ma divenni a lungo collaboratore di Questotrentino: scrivevo di scuola, di politica, di religione. Ancora oggi, a tanti anni di distanza, gli affido qualche pensiero.
Nell’editoriale del numero zero di una rivista che nasceva con piglio combattivo Eugenio scriveva: “Qualcuno potrebbe pensare che pretendiamo di possedere la verità: non esageriamo! Accontentiamoci della ricerca, è già abbastanza”. C’è consapevolezza della complessità dei problemi in queste parole, c’è persino l’umiltà del giornalista.
Nella primavera del 1980 ci furono in Trentino le elezioni comunali: la DC confermava la sua forza, come il PPTT, le sinistre, divise, crescevano un poco, a fatica. L’articolo politico informava nel titolo: “Dalle urne nulla di nuovo”, e concludeva così: “Non c’è niente da festeggiare, c’è da riflettere piuttosto”. Fra qualche giorno il Trentino tornerà a votare. Se il nuovo direttore dovrà titolare: “Dalle urne è tutto cambiato”, saremo capaci, noi almeno, di non “festeggiare”, e di “riflettere” ancora, piuttosto? Ci impegniamo a farlo, criticamente, nel ricordo di Eugenio Pellegrini.
Silvano Bert
Parole pronunciate in occasione del funerale di Eugenio nel piazzale della chiesa di Cognola, non essendo stato consentito di dirle durante la cerimonia all’interno della chiesa.