Come reinventare i “quartieri sudtirolesi”
Dai lasciti del nazismo, un bell’esempio di riqualificazione urbana
Innsbruck cresce rapidamente, è la capitale regionale con il più rapido aumento del numero di abitanti (previsto in più di 10.000 nel decennio fino al 2025, partendo dagli attuali 150.000). Questa crescita, dovuta all’altissima qualità della vita, è un’enorme sfida per l’amministrazione e per i cittadini: vuol dire densificare il tessuto urbano, riqualificare aree urbane sotto-utilizzate, riorganizzare la mobilità urbana, proteggere l’ambiente naturale intorno alla città, programmare cioè la crescita per evitare uno sviluppo canceroso nelle periferie. Allo stesso tempo, bisogna tutelare la qualità della vita delle persone che vivono nei quartieri da riqualificare, aprire i processi di pianificazione alla partecipazione dei cittadini, e tutelare il verde urbano e gli spazi liberi. Il che suona come una contraddizione, ma in fin dei conti, densificazione senza partecipazione e senza il contributo dell’architettura paesaggistica non può che produrre strutture urbane poco sostenibili, sul piano sia ecologico che sociale e umano. Il piano di sviluppo urbanistico stabilisce che almeno il 75% dell’edilizia aggiuntiva vada realizzato in aree già definite come edificabili, da riqualificare o densificare.
Da questo punto di vista, è un felice lascito di una pagina non gloriosa della nostra storia, che ci ha tramandato i Südtiroler Siedlungen, i cosiddetti quartieri sudtirolesi, nei rioni di Pradl (ad est) e Wilten (a sud del centro). Furono costruiti nei primi anni ‘40 dall’amministrazione nazista per i sudtirolesi che avevano optato per il “ritorno nella patria tedesca”, in base al famigerato accordo fra Hitler e Mussolini sulla purificazione etnica nel mezzogiorno (sempre multilingue e multietnico) del Tirolo storico: chi optava per restare nel paese di origine doveva accettare l’italianizzazione forzata all’interno dei “sacri confini della Patria”, chi voleva restare di lingua tedesca, doveva emigrare nel Reich.
Questi quartieri avevano una loro specifica qualità. Siccome la grande maggioranza dei sudtirolesi optanti proveniva da un contesto rurale (un danno enorme per la qualità urbana, che la città soffrì per i decenni a venire, superato solo a partire dagli anni Ottanta, quando iniziò un nuovo ciclo di urbanizzazione anche culturale, terminato nel 2012, quando l’ “eterno” partito del potere, i popolari, venne cacciato all’opposizione) l’urbanistica nazista disegnò i quartieri sudtirolesi come tanti paesini chiusi in se stessi, con costruzioni basse, al massimo due o tre piani, situate in quella che allora era periferia, fra prati e campi, con verdi cortili interni utilizzati, fino ai giorni nostri, anche come orti urbani.
Bisogna ammetterlo: gli urbanisti nazisti erano riusciti a creare una pregevole qualità della vita e rapporti sociali da paese rurale.
Da decenni questi quartieri non sono più periferici, ma quasi centrali, con trasporti pubblici e altre infrastrutture di alto livello; oggi la sfida è raddoppiare il numero di abitanti senza distruggere la vivibilità, creando nuove condizioni per un tessuto sociale sostenibile. Ovviamente, sopraelevare gli edifici senza mangiare aree verdi è una delle vie possibili. Ma più in generale bisogna ricreare, ripensare, reinventare questi quartieri: un obiettivo posto negli ultimi due anni da una serie di concorsi urbanistico-architettonici che la Neue Heimat (la società municipale-provinciale dell’edilizia popolare che aveva ereditato i quartieri dal Reich) ha indetto e organizzato con grande impegno e serietà. E con ottimi risultati. In parole povere: raddoppio della superficie abitativa, con tanto di verde in comune per gli inquilini, e una nuova qualità urbana progettata sulle esigenze del nuovo millennio, per avere una città variegata, multietnica, multireligiosa, multiculturale e inclusiva (e con eccellente efficienza energetica a un canone sopportabile, cioè meno di 8 € per metro quadrato riscaldato, standard peraltro normale per la Neue Heimat). Nelle giurie dei concorsi c’erano anche rappresentanti degli inquilini dei quartieri da demolire e ricostruire, eletti in assemblee, che avevano discusso i bisogni da soddisfare e le disfunzionalità da evitare.
Tutti i concorsi, sebbene con partecipanti anche internazionali, sono stati vinti da architetti tirolesi. L’ultimo, per il rione di Pradler Saggen - con un progetto che, fra l’altro, prevede giardini sui tetti delle costruzioni e spazi comunitari in ogni singolo edificio - è stato vinto dalla giovane sudtirolese (anche se il cognome tradisce l’origine extracomunitaria della famiglia) Silvia Boday, un’esponente della seconda leva di giovani architetti, succeduti ai maestri post-sessantottini che avevano fondato la reputazione internazionale dell’architettura tirolese contemporanea.