L’ Elettra di Hoffmanstahl
Suggestiva versione (anche) tecnologica, quella di Andrea De Rosa del feroce testo di Hoffmanstahl.
Assistere a "Elettra", per la regia di De Rosa, è come immergersi in un luogo così fisico che pare di toccarlo; ma, ogni volta che si tenta, quel luogo si ritira come la marea: un perturbante supplizio di Tantalo. Uso perturbante per tradurre il tedesco unheimlich, quella categoria mentale che per Freud "appartiene alla sfera dello spaventoso, di ciò che ingenera angoscia e orrore… ma che un giorno fu heimisch (patrio), familiare".
Il suono stereofonico, curato da un geniale Westkemper, riproduce con precisione assoluta i nitriti dei cavalli, la pioggia scrosciante, poi gorgogliante, i passi, le voci che immagino provenire da invisibili corridoi e camminamenti, stanze e scale che la mente ricostruisce dai rumori. Presto dimentico di indossare delle cuffie, e l’illusione è perfetta se chiudo gli occhi: lo spazio si dilata intorno a me; ma devo guardare e allora tutto ricompare. All’inizio l’effetto disorienta: credevo di sapere dove fossi (nel palazzo del defunto Agamennone), scopro invece di trovarmi in platea. Dopo un po’, tuttavia, gli occhi si abituano alla nuova condizione, a questo mondo fantasma, e smettono di cercare – a destra e a sinistra – bocche che parlino, piedi che calpestino; osservano solo avanti. La tecnologia lavora in segreto dentro di me, a livello inconscio, e il suono mi avvolge interamente. Il patto di finzione è finalmente stipulato: sono nella reggia, con Elettra. Un passaggio necessario poiché, tornando a Freud, "quanto più un uomo si orienta nel mondo che lo circonda, tanto meno facilmente riceverà un’impressione di turbamento (Unheimlichkeit) da cose o eventi".
Ora è facile, automatico identificarmi nei personaggi, oscillare con loro tra speranza e disperazione, morte e vita. Ognuno cerca il proprio destino: Elettra e Oreste, ordine e equilibrio; Crisotemide, la normalità, una famiglia, libertà dalla casa-prigione; Clitennestra, un domani senza sogni che la tormentino. A tutti manca un brandello del tempo, sia esso il passato (il padre perduto), il presente (una vita da vivere) o il futuro (una vecchiaia serena). La felicità dell’uno, come in ogni tragedia, è l’infelicità dell’altro poiché nell’universo può esistere una sola Giustizia per volta: l’emancipazione della donna si scontra con la legge del sangue. Clitennestra ha ucciso il marito, che sacrificò una figlia pur di vincere la guerra; Elettra e Oreste uccidono la madre per averli privati dell’onore e del padre.
Un testo sanguigno, feroce, quello di Hofmannsthal: scava nelle viscere e non purifica; ma proprio per questo è capace di sublime poesia. A interpretarlo uno splendido e affiatato terzetto femminile – Loliée, Mandruzzato, Grassi – con un discreto Benedetti… anima e carne dell’esistenza umana.