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Qualcosa a Trento si muove

“4.48”

Quella che sembra essere una malattia cronica della cultura e del teatro "made in Trentino", a volte può rivelarsi un sintomo positivo. Nel caso di "4.48" - debutto il 17 ottobre e in replica per dieci serate allo Spazio Off di via Venezia, a Trento – le cose stanno proprio così. Mirko Corradini, giovane regista trentino, decide, in silenzio, di mettere in scena uno dei testi monstre della drammaturgia contemporanea. "4.48" è di Sarah Kane, autrice inglese morta a soli 28 anni nel 1999, ed è l’ultimo che è riuscita a scrivere prima di suicidarsi. E’ Sarah Kane stessa che in un lancinante monologo parla della sua decisione di togliersi la vita, guardando in faccia il volto della sua disperazione, della sua depressione, della sua malattia mentale e, infine, della sua morte. Corradini prende in mano quel testo e, in silenzio, lo studia, ci lavora.

Il monologo deve trovare la sua attrice, e il regista non sceglie tra le (poche) attrici che in Trentino sarebbero in grado di affrontare una prova del genere; sceglie un’allieva della sua scuola di teatro – EstroTeatro - Cinzia Scotton, di soli 22 anni.

Corradini decide, in silenzio, di fare una messinscena piccola, per soli venti spettatori a replica. Adatta la scenografia – un cubo trasparente che fa subito pensare all’asetticità e alla violenza di un ospedale psichiatrico – al piccolo palco dello Spazio Off, e decide di lavorare con poco.

Poche luci (un solo faro teatrale e quattro neon che illuminano i quattro lati del cubo), poca musica (qualche brano qua e là, qualche rumore distorto), pochissimi oggetti di scena (un filo di cotone, un rossetto, le pillole di psicofarmaci che cadono dal soffitto sulla testa dell’attrice, dell’acqua), e molta sostanza. La sostanza sta tutta nelle densità espressive, registiche, attoriali e tecniche messe in campo da Corradini, che tiene la tensione del testo appesa costantemente a un filo che oscilla tra angoscia, dolcezza e disperazione. Cinzia Scotton interpreta su di sé, sul suo corpo e sulla sua voce le parole della Kane, che rimbombano tra le quattro pareti anguste del cubo.

E poi c’è il pubblico: i venti spettatori non guardano soltanto l’attrice in scena, che li sfida a sua volta col suo sguardo. Gli occhi degli uni scorrono su quelli degli altri quasi a spiare reazioni ed emozioni: il "4.48" di Corradini mette a nudo con forza il sadismo e la violenza intrinseci all’atto del guardare, sia per chi è in scena – disposto per scelta a mostrarsi – sia di chi, solitamente, a teatro sta in platea, al buio.

Sta qui la novità di questo "4.48", in questa riuscita via di mezzo fra teatro e performance, in cui la soglia tra osservato e osservante si scioglie in prossimità del dolore, della malattia e della morte della Kane. E sta qui la "malattia" tutta trentina di cui anche questo spettacolo è, paradossalmente, vittima: una piccola produzione in un piccolo spazio, dove il punto di forza è anche il suo punto di debolezza. Una nicchia, come si dice spesso per mille altre cose che accadono in Trentino, che ha sì preso vita, ma che dovrà farsi le ossa, calcare palcoscenici più impegnativi, crescere per provare a fare il balzo decisivo e uscire dai circuiti provinciali, dove peraltro, tra filodrammatiche e spettacoli di cassetta, farebbe comunque fatica a farsi notare.

Il cuore pulsante del teatro contemporaneo, si dice, è a Milano, Genova, Torino. Dicono, perché a Trento, intanto, qualcosa si sta muovendo e ha tutte le carte in regola per confrontarsi con chiunque, su quelle piazze. Forse non con questo spettacolo – su Sarah Kane, Corradini tornerà a fine gennaio, con una nuova produzione, "Phaedra’s love", forse più avanti. Ma non si soffra, una volta tanto, del complesso di inferiorità di chi sta ai confini dell’impero e non ha il coraggio, almeno, di affacciarvisi.

 

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