Nuovo QT: luci e ombre a un anno dal lancio
Un prodotto migliorato quasi da ogni punto di vista, ma sugli aspetti economici e organizzativi c’è ancora da lavorare
È già passato un anno dall’uscita in edicola del “nuovo” QT, ed è giunto il momento di fare un bilancio. Diciamolo subito: non ci sono solo luci, ma anche ombre.
Cominciamo da quello che ha funzionato di più: il giornale. Indubbiamente, il “prodotto” è nettamente migliorato, anche grazie alla nuova periodicità mensile, che ci dà più tempo per farlo meglio.
La forma, anzitutto. Non c’era bisogno di aspettare un anno per dire che, con la nuova veste grafica a colori, la nuova impaginazione e la nuova struttura, QT risulta più leggibile, diciamo pure più bello: ciò è stato evidente fin dall’inizio, e la maggior parte dei lettori ha gradito il rinnovamento.
Anche guardando alla sostanza, cioè ai contenuti, non si può che essere soddisfatti. Partiamo dal fondo, per una volta. La nuova sezione dedicata alla leggerezza e alla satira, il “Piesse”, si è resa nel tempo riconoscibile per la sua personalità spiccata, in grado di sopportare anche l’uscita di scena di Castelli e qualche avventatezza (come l’idea di aprire alla narrativa, accantonata dopo qualche mese per assenza di materiale). Il nuovo “Monitor” è decisamente più incisivo: le recensioni, più brevi senza aver perso pregnanza, si leggono più volentieri, e il calendario delle presentazioni ha guadagnato in praticità. Le vecchie rubriche hanno ben retto l’urto del taglio a una pagina (anziché due), e visto l’ingresso felice de “Il colore degli altri”, nuovo spazio oggi quanto mai attuale e necessario. I servizi a una pagina sono forse l’elemento di minor successo, non avendo lasciato il segno che avevamo in mente. Nemmeno lo spazio dedicato all’intervista ha funzionato come avrebbe dovuto: non sempre la redazione è riuscita a trovare il soggetto giusto. Le inchieste si sono sicuramente rivelate l’elemento più distintivo per il giornale: l’ultima in ordine di tempo, quella sull’ISA, ha riscosso grande apprezzamento fra i lettori, che ce ne chiedono altre, altrettanto scomode e critiche, e noi vedremo di non deluderli. Il “Trentagiorni” ha funzionato in modo alternato: a volte i pezzi erano troppo pochi e troppo lunghi, ma stiamo migliorando. Infine, la foto: uno spazio che è stato anche per noi una piacevole sorpresa, permettendo uno sguardo su un passato in bianco e nero spesso dimenticato.
Inoltre, il rinnovamento del sito, gli inserti (il libretto di Tòs e il DVD “Beata Ignoranza”) e l’iniziativa della QT Card sono tutti elementi che, per quanto perfettibili, hanno complessivamente aggiunto non solo quantità, ma anche qualità al giornale di carta.
Le note dolenti
E qui finiscono le note liete. Quelle dolenti non riguardano il prodotto-giornale in sé, ma quanto ci sta attorno: economia e organizzazione.
Quello economico è, come sempre, il punto più critico. Un anno fa chiedevamo 200 nuovi abbonamenti, come incremento minimo sul quale poi lavorare e migliorare ulteriormente. Ci siamo però fermati poco oltre i 150. Tutti quanti acciuffati nei mesi successivi al lancio del giornale: a parte la felice parentesi della recente partecipazione alla fiera “Fa’ la Cosa Giusta”, sono circa 6 mesi che il numero di abbonati non varia più. E nelle edicole è andata anche peggio: dopo i primi numeri, che avevano triplicato le vendite, siamo tornati poco sopra alle cifre del vecchio corso, e questo è un brutto segnale. Inoltre, non siamo riusciti a sfondare nelle valli. Anche a fronte di introiti pubblicitari attenutisi alle previsioni, la contenuta crescita di lettori costringe il giornale a vivacchiare su bilanci stiracchiati, e impedisce di gettare le fondamenta per quella struttura organizzativa orientata al professionismo che era negli obiettivi.
E arriviamo all’organizzazione. Dopo l’entusiasmo iniziale, che si traduceva in riunioni di redazione frequentate come non mai e nell’arrivo di numerose nuove proposte di collaborazione, il giornale rischia oggi di tornare a reggersi soprattutto sulle spalle delle “querce” ultrasessantenni che lo hanno fondato. E questo, in prospettiva, è un aspetto che preoccupa ancor più di quello economico. Non si tratta di un’accusa ai giovani, che anzi hanno fatto molto. Si tratta di una constatazione, dalla quale è inevitabile ripartire.
È forse necessario trovare nuove formule organizzative, e anche economiche, che permettano di trovare ulteriore slancio. Vi terremo informati, fiduciosi che continuiate a seguirci, perché i nostri sforzi saranno sempre tesi a riuscire ad essere, in maniera sempre più adeguata, “il giornale che dice quello che gli altri non dicono”.