La faticosa arte del clown
Della "Filarmonica clown" una libera riduzione da Cervantes attraverso un teatro povero di mezzi, ma pienamente convincente.
Da anni la "Filarmonica Clown" porta in giro lo spettacolo "Don Chisciotte", liberissimamente tratto dal capolavoro di Miguel de Cervantes. Le numerose recensioni collezionate tessono le lodi di questo trio che, con evidente dispendio di energie, mette in scena brani del testo cervantino, immaginandoli rappresentati da due pazienti in cura presso un centro di igiene mentale, sotto la direzione di un assistente sociale-regista. Teatro nel teatro, dunque.
Gli elogi sono meritati, se non altro perché si nota ed apprezza il gran lavoro necessario per creare l’illusione teatrale, con gli scarsi mezzi a disposizione degli artisti. Scelta registica, questa, indubbiamente, ma tipica e apprezzabile nel teatro "povero", che affida alla bravura, alla sagacia e persino al coraggio degli artisti l’onere di captare l’attenzione del pubblico, con voce, corpo e semplici oggetti.
Scalcagnati costumi, traballanti scenografie, gestualità ora alienata ora puntuale, sia pure con qualche urlo di troppo, gran movimento, sono gli espedienti impiegati dagli attori per mantenere viva l’attenzione del pubblico.
Se il testo di Bolek Polivka a volte scherza un po’ troppo facilmente con i problemi dell’alienazione e dell’alcolismo, tuttavia il risultato dello spettacolo è convincente, soprattutto per il rispetto e la solidarietà che gli esperti "anziani" attori suscitano in chi riesce a cogliere, tra un sorriso e una risata, l’eterna adorabile malinconia del clown.