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La guerra dell’acqua

Chi deve gestire le risorse idriche? Un dibattito molto acceso che dovrebbe interessare anche gli italiani.

Antonio Graziano

Poco più di un anno fa l’Uruguay si trovava a vivere due eventi storici. Il 31 ottobre 2004 una coalizione progressista vinceva le elezioni dando luogo al primo governo di centro-sinistra della storia del paese. Nello stesso giorno, mediante un referendum popolare, il 65% dei cittadini attuava una riforma della Costituzione che da quel momento avrebbe dichiarato che "il servizio di bonifica e rifornimento di acqua potabile per il consumo umano sarà prestato escusivamente ed in forma diretta da persone giuridiche di origine statale".

Il tema della gestione delle risorse idriche per uso umano è all’ordine del giorno anche in Italia. In particolare in relazione alla vendita di consorzi di gestione di bacini idrici e di acquedotti a privati. Non è difficile sospettare, per il modo e la rapidità con qui vengono conclusi gli affari, che il principale obiettivo delle privatizzazioni sia quasi sempre il profitto, mascherato dalla volontà di creare un sistema di gestione più efficiente e all’avanguardia. Parliamo, per citare una esempio, dell’Autorità Territoriale Ottimale di Napoli e Caserta (ATO 2), la cui privatizzazione, affiancata dal sostegno o dall’indifferenza delle amministrazioni locali, ha trovato una decisa opposizione nella società civile.

Per impedire la vendita del 49% delle azioni del consorzio a privati si è costituito un movimento, sostenuto da realtá quali la rete Lilliput e da figure come Beppe Grillo ed Alex Zanotelli, costringendo i media ad informare su quanto stava accadendo e facendo in modo che la magistratura bloccasse, momentaneamente, qualsiasi ulteriore passo verso la capitalizzazione. La Campania è solo uno dei casi di privatizzazione selvaggia che sta vivendo il nostro paese e che porta diverse regioni, dalla Toscana, al Lazio, alla Lombardia, ad essere sotto gli occhi delle grandi imprese multinazionali dell’acqua quali la ACEA (italiana) e la Suez Lyonnes (francese). E’ in questo contesto che si inserisce l’impegno del Comitato Italiano per un Contratto Mondiale sull’Acqua che ha contribuito, da cinque anni a questa parte, a fare in modo che oggi l’acqua sia uno degli argomenti principali dell’agenda politica dei movimenti e delle organizzazioni della società civile a livello italiano ed internazionale.

Il principale obiettivo del Contratto Modiale sull’Acqua è quello di mostrare che troppo spesso la privatizzazione rappresenta un sistema di gestione delle risorse idriche che ha come prioritá obiettivi lontani dagli interessi della collettività. Risulta indispensabile, invece, considerare l’acqua come un diritto fondamentale, in modo da assegnare un ruolo prioritario alla salute ed all’alimentazione umana oltre che alla tutela dell’ambiente.

A livello globale, di grossa rilevanza risultano i negoziati per generare un Accordo Globale sul Commercio ed i Servizi (AGCS), presenti da alcuni anni nell’agenda politica dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). L’ AGCS, che fino ad oggi ha incontrato notevoli opposizioni da parte della società civile, verrà discusso nuovamente nella prossima riunione ministeriale la cui inaugurazione è prevista per il prossimo 13 dicembre ad Hong Kong. Da non dimenticare, in Europa, la direttiva Blocknstein, che dovrebbe rappresentare un AGCS in miniatura ma ugualmente efficace.

In questo contesto l’Uruguay rappresenta un caso unico al mondo, dove i cittadini hanno utilizzato uno strumento di partecipazione democratica per dichiarare con forza che l’acqua è un diritto fondamentale e non deve essere trasformato in uno strumento di profitto.

La storia è iniziata nel 1992, quando un’impresa uruguaiana intraprese la gestione dell’acqua potabile con cui veniva rifornito uno dei dipartimenti del paese (quello di Maldonado). Negli anni successivi, con forte opposizione da parte della società civile, continuò il tentativo di privatizzazine dei servizi idrici, con la partecipazione dell’impresa Agua de Barcelona, filiale della Suez Lyonnaise des Eaux e di Agua de Bilbao. E’ in questo contesto che nacque l’esperienza di gestione autonoma di un gruppo di cittadini in Ciudad de la Costa, piccola ma interessante esempio di gestione comunitaria delle risorse idriche.

Intanto, nel 2002 nasceva la Commissione Nazionale per la Difesa dell’Acqua e della Vita (CNDAV), costituita da varie organizzazioni, sindacati, associazioni e singoli cittadini, che si pose come obiettivo quello di ri-pubblicizzare la fornitura dei servizi di acqua potabile e di fognature del paese. L’oggetto della lotta non era di poca importanza, se si considera che in alcune aree interessate dalla gestione privata si stava verificando un incremento vertiginoso delle tariffe di fornitura e che nel periodo estivo si rilevava la presenza di batteri coliformi fecali, patogeni responsabili di diverse malattie gastroenteriche.

La mobilitazione ha portato ad un referendum popolare ed alla modifica della Costituzione a favore della pubblicizzazione. Oggi siamo a poco più di un anno dal referendum e, nonostante la Costituzione, sembra che il governo faccia fatica ad interpretare pienamente la volontà dei suoi cittadini e dimostra di prendere decisioni lontane dal consenso popolare. Il 20 maggio scorso fu varato un decreto governativo che afferma che le imprese che già hanno avuto concessione per gestire le risorse idriche del paese non saranno sottoposte alla modifica costituzionale. Secondo le organizzazioni ambientaliste il decreto è incostituzionale.

Per parlare di questa ed altre storie di lotta per il diritto all’acqua lo scorso ottobre la CNDAV ha organizzato a Montevideo una tre giorni di conferenze, dibattiti e confronto sul tema, a cui hanno partecipato esperti e protagonisti di lotte per il diritto all’acqua di tutta l’America Latina, dando spazio, in particolar modo, a quanto sta avvenendo nel Cono Sud ed in Bolivia.

Interessanti in questo senso gli interventi di personaggi come Oscar Olivera della CNDAV-Bolivia, testimone dell’esperienza della città di Cochabamba, dove è avvenuta la prima guerra dell’acqua contro l’ennesima privatizzazione dei servizi idrici. Olivera ha sottolineato l’esistenza di tre fattori chiave: l’organizzazione, la mobilitazione e la proposta di alternative. Da questi elementi si è sviluppato un lavoro che ha coinvolto tutti i settori mediante un’organizzazione orizzontale.

Altro guerriero dell’acqua boliviano presente alla tre giorni, Pablo Solón, ha descritto l’esperienza delle città di La Paz e El Alto, spiegando che mentre firmare un contratto con un’impresa privata non presenta grosse difficoltà, molto più difficile è recederne, ovvero eliminare condizioni che si dimostrano sfavorevoli per alcuni settori della popolazione. Solón ha fatto luce anche sulla funzione degli accordi internazionali, sottolineando che, mentre i famosi trattati bilaterali sono accordi a termine, gli accordi multilaterali come il non ancora ratificato ALCA (l’Area di Libero Commercio delle Americhe) sono a scadenza indefinita e risulta molto più difficile influire sulle modifiche degli stessi.

Interessante, infine, la testimonianza di Alejandro Eguiguren, di Villa Carlos Paz, nella provincia argentina di Cordoba. A Villa Carlos Paz è nata una cooperativa integrale, responsabile della gestione delle acque provenienti dal rio Icho Cruz che dimostra che esperienze che implicano formalmente la presenza di capitale privato derivano di fatto dalla partecipazione di tutti i settori della cittadinanza.

Partendo dallo stimolo delle numerose esperienze sudamericane c’è molto da riflettere, in Italia e nel resto del mondo, su tre temi chiave: la mancanza d’acqua, l’inquinamento, e la presenza di disastri legati ai cambiamenti climatici.

Intanto in Uruguay la gente ha deciso di chiedere che le risorse idriche siano amministrate dallo Stato e vengano tolte una volta per sempre dalle mani dei privati. Per questo è stato utilizzato uno strumento, il referendum, che ha permesso di valutare la capacità delle forze politiche indipendenti del paese di ottenere il consenso popolare e di organizzare una strategia utile a portare avanti rivendicazioni legate al rispetto della salute umana e dell’ambiente.