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La rivolta degli insegnanti

Il movimento degli insegnanti riuscirà ad ottenere i cambiamenti necessari a migliorare la scuola sudtirolese?

In Sudtirolo tutti i partiti politici sostengono l’importanza dell’istruzione, cardine per la sopravvivenza della minoranza linguistica: coltivare lingua, cultura, usi e costumi, è fondamentale. Per molti la scuola è importante anche per educare le nuove generazioni alla convivenza pacifica. Da molte parti si sente lo scontento per l’immobilità della scuola, che appare incapace di affrontare le novità, le sfide sociali, e le richieste di una società sempre più plurale e delle famiglie. Manca il rispetto per coloro che per professione portano avanti gli obiettivi educativi.

Mentre decine di milioni vengono sparsi, spesso con eccessiva e ingiustificata generosità, fra albergatori, contadini, imprese, funzionari e portavoce del potere politico, gli stipendi degli insegnanti sono rimasti bassi, anzi si sono ridotti, se confrontati con quelli della media europea.

All’inizio della carriera di un insegnante, la differenza fra Tirolo austriaco e Sudtirolo è del 40% e alla fine del 76%, spiegano gli interessati. Da anni vengono promesse restituzioni per la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione, che in Austria e in Germania sono già da tempo avvenute. In Sudtirolo c’è stato un “una tantum” nel 2023 e basta. Le numerose promesse di un adeguamento degli stipendi non sono mai state mantenute.

All’inizio del 2025, la questione ha cominciato a bollire e diffondersi per iniziativa di un gruppo di docenti della Val Pusteria, che hanno fondato il comitato di protesta “Bildung am Abgrund”, (Istruzione sull’orlo del baratro). Le loro richieste non riguardano solo l’aspetto economico: il misero pagamento per le attività extracurricolari, l’obbligo di fare l’assicurazione per le (pericolose) gite di maturità, la mancanza di abitazioni a un prezzo abbordabile nelle zone turistiche, il confronto umiliante con il trattamento al di là del confine che spinge taluni addirittura a fare i pendolari nel vicino Tirolo.

L’attenzione principale del comitato è tuttavia soprattutto sulla carenza gravissima di una visione in cui i problemi linguistici (anche legati all’immigrazione), sociali e psicologici sono scaricati sulla scuola. Mancano gli psicologi; sulle questioni sociali dovrebbe intervenire l’assistenza sociale; si dovrebbero formare classi più piccole per poter seguire da vicino bambini, bambine, ragazzi e ragazze che ne hanno bisogno. Quindi un numero maggiore di docenti. Ma i docenti sono già oggi pochi. E il timore è che fra 10 anni non si riesca più a mantenere neppure ciò che oggi a fatica viene fatto.

All’iniziativa pusterese hanno aderito presto insegnanti della Val Venosta e dopo riunioni in ogni scuola, quasi tutte le scuole di lingua tedesca. La Provincia ha proposto di integrare gli emolumenti, legandoli ad attività extra. Soldi che non finiscono nel Tfr né nella pensione, ma aumentano il carico di lavoro, distraendo dal lavoro stesso. Visite a musei, gite, cinema, teatro, tutte cose molto utili, che tuttavia spesso vengono decise non in base alle proposte dei docenti e dei loro gruppi di lavoro. Talvolta i gruppi di lavoro fanno proposte che vengono respinte da dirigenti non preparati. La Provincia infatti ha portato avanti una burocratizzazione della gestione delle scuole, che sembra avere l’obiettivo di controllare i docenti e limitarne la libertà d’insegnamento, che ha svuotato la legge sull’autonomia della scuola e ha dato troppi poteri a dirigenti, (alcuni dei quali si comportano addirittura da capetti e appendici del potere politico).

Il 5 settembre, quando in Sudtirolo, primo in Italia, si è aperto l’anno scolastico, la questione è esplosa.

I docenti hanno cominciato come sempre a fare il loro lavoro; le attività extracurricolari però non sono state più svolte. Niente gite, visite a cinema, teatro, mostre, niente gite di maturità. Le scuola italiane si erano nel frattempo unite alla lotta di quelle tedesche.

Una prova dura per genitori e per tanti produttori di cultura che fanno assegnamento anche economico sulla partecipazione delle classi. Molti genitori hanno compreso che gli insegnanti hanno diritto a rivendicare, di fronte a un’amministrazione distratta, un rispetto e un trattamento decoroso, e il diritto di fare proposte per il futuro della scuola a favore dei loro figli. Forse a soffrirne di meno sono scolari e studenti, che possono concentrarsi maggiormente sulle materie curricolari. L’aspetto economico trova comprensione a maggior ragione se si considera la vanteria dei governanti sulla ricchezza del bilancio provinciale, che però non ha alcun effetto positivo nei settori come l’educazione e l’istruzione (oltre che sulla sanità e l’assistenza ad anziani e disabili). La maggior parte degli insegnanti ama il proprio lavoro, e tanti lo svolgono “eroicamente”: basti pensare a chi da anni lavora per l’integrazione dei bambini immigrati e per l’apprendimento delle lingue, con scarso sostegno da parte delle autorità scolastiche, e spesso anche con obiezioni e contrasti aperti da parte di chi ha la responsabilità politica della scuola.

Ricordate la vicenda della scuola Goethe, la cui dirigente voleva introdurre le classi speciali? La vicenda è stata risolta, almeno provvisoriamente, senza espellere nessuno e con buoni risultati, distribuendo bambini di lingua italiana e immigrati in più classi (imparano in fretta!). Proprio di recente in Austria uno studio dell’Università di Vienna ha bocciato le classi speciali, che secondo i ricercatori hanno dato risultati scadenti e dannosi per molti bambini e bambine. Ma la SVP ha creato un gruppo di lavoro, che pretende che nelle classi il 60 per cento dei bambini siano di lingua madre tedesca. Quindi l’attacco a chi fa un lavoro di integrazione probabilmente andrà avanti.

Il bilinguismo

Contemporaneamente, non si fa nulla per garantire il bilinguismo. L’economia sudtirolese soffre per la mancanza di lavoratori e lavoratrici bilingui. Ma se si vogliono lavoratori e lavoratrici e anche cittadini e cittadine bilingui, l’istruzione deve essere bilingue.

Ci sono tanti esempi in Europa di scuole, soprattutto nelle aree di confine o in regioni in cui vivono minoranze linguistiche, dove le scuole sono bilingue o anche plurilingue. E in Sudtirolo abbiamo l’esempio della scuola delle valli ladine, nelle quali l’insegnamento è trilingue (quadrilingue se contiamo anche l’inglese). I ladini escono dalle scuole trilingui o quadrilingui. Chi frequenta le scuole italiane e tedesche no.

A distanza di un mese e mezzo la lotta degli insegnanti non sembra avere fine. C’è chi è stanco, si dice che in in qualche scuola forse hanno ripreso alcune attività; molti non sono abituati a confrontarsi con durezza con il potere. Però ci pensa il potere ad aiutarli a continuare.

Come il presidente Kompatscher, apparso sulla prima pagina del Dolomiten (con cui ha fatto la pace) con un secco: o smettete di scioperare o non vi daremo neppure i soldi dell’inflazione (che, secondo gli accordi, dovrebbero essere versati in novembre, e a cui seguirà la trattativa). Il giorno dopo ha ritrattato dicendo di non essere stato compreso, come fa spesso. La frittata però era fatta: gli insegnanti hanno parlato di ricatto e si sono arrabbiati. Chiedono un aumento dello stipendio, pensionabile e non legato ad ulteriori aumenti di orario, e di poter fare meglio il proprio lavoro nell’interesse dei loro allievi. Fra il resto, è incredibile che ancora oggi in Italia non vengano considerate ore di lavoro quelle di correzione dei compiti, che riguardano molti docenti (prima e seconda lingua, matematica, ecc.). Questi insegnanti passano ore a fare le attività extracurricolari (pagate, anche se poco) e poi si portano a casa pacchi di temi e lavorano di sera per le correzioni (gratis). I tre assessori all’istruzione (uno per lingua) hanno proposto una “Lettera di intenti”, con cui gli insegnanti tornano a fare le attività extracurricolari e in gennaio si apre la trattativa per il rinnovo del contratto. Nel frattempo si cercano i soldi per l’aumento di stipendi. Ma i sindacati non si sentono di firmare, perché gli insegnanti “in protesta” si aspettano la solita promessa ricevuta più e più volte e mai mantenuta.

I sindacati sono divisi: alcuni temono per il loro potere contrattuale, o che la giunta provinciale interrompa le trattative; nessuno può ignorare il movimento che ha coinvolto i docenti. Quello più vicino al potere farà una consultazione della sua base.

Tutti sono stati presi di sorpresa dalla forza della protesta dei docenti. La giunta provinciale sui mass-media cerca di ridurre le proteste alla sola questione salariale. Nel partito di maggioranza la destra vuole respingere ogni richiesta degli insegnanti. La giunta non ha molte frecce al suo arco: gli insegnanti stanno lavorando, secondo alcuni anche meglio del solito, non si tratta di sciopero, ma della messa in atto di una scelta di autonomia scolastica. Oltre tutto, si sono creati molti gruppi di lavoro plurilingue, che sperimentano confronti neppure immaginati dai politici. Il movimento degli insegnanti riuscirà ad ottenere i cambiamenti necessari a migliorare la scuola sudtirolese?

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