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QT n. 4, 25 febbraio 2006 Servizi

Caracas: i movimenti e il potere

Il dibattito al Foro Sociale Mondiale: esiste un "socialismo del XXI secolo? Quale rapporto con le istituzioni progressiste del Sud America? I Forum hanno ancora capacità di elaborare strategie? 100.000 persone, tra entusiasmi e disguidi, a discutere di questi temi.

Antonio Graziano

Caracas, capitale della Repubblica Bolivariana del Venezuela. A 30 chilometri dalla costa caraibica ed a 1000 metri sul livello del mare, situata in una piccola valle, agli estremi della cordigliera delle Ande, nella quale vivono ammucchiati oltre 5 milioni di persone. Una moltitudine, la più povera, vive in insediamenti irregolari (i barrios, quartieri) costituiti da case e baracche che si arrampicano ai margini delle montagne. Spesso, quando piove, il fango porta via abitazioni e vite umane. Caracas, una delle città più violente e più trafficate della Terra, dove chi è più furbo si arricchisce, dove le ingiustizie e la corruzione sono all’ordine del giorno. Caracas, capitale della rivoluzione bolivariana che porta l’immagine di Hugo Chavez Frías, militare salito al potere come presidente alla fine degli anni Novanta grazie ad elezioni democratiche e che ha fondato la nuova repubblica sulla base dell’antiimperialismo e dell’anticapitalismo.

Chavez si propone di produrre il passaggio da una democrazia rappresentativa ad una democrazia partecipativa, utilizzando lo strumento del socialismo e, senza dubbio, con l’ausilio del petrolio (la più grande riserva del continente e la terza del Mondo). Sembra avere resistito, fino ad oggi, a diversi tentativi di colpi di stato e di attentati e alle pressioni delle élite economiche del suo paese e degli Stati Uniti. La maggior parte dei venezuelani si divide in due categorie, quelli che amano il presidente e quelli che lo odiano.

Questa è la premessa indispensabile per comprendere come una città piena di contraddizioni abbia ospitato il VI Foro Sociale Mondiale ed il II Foro delle Americhe, dal 24 al 29 gennaio, a cui hanno partecipato in totale circa 100.000 persone, in maggior parte latino americani (ma non solo), visto che quest’anno, per la prima volta, l’evento è stato organizzato in maniera policentrica nei continenti di Asia, Africa ed America Latina, con un appuntamento a Bamako, in Mali, ed un altro a Karachi, in Pakistan.

L’effetto che provoca una moltitudine di gente riunita per un obiettivo comune è sempre e comunque impressionante. Per una settimana il centro di Caracas è stato invaso da fiumi di persone che tra un seminario e l’altro approfittavano del tempo libero per darsi allo shopping, nonché cercare occasioni di socializzazione e di divertimento al di fuori degli impegni ufficiali.

Al Foro si è discusso di tutti i temi attualmente presenti nell’agenda dei movimenti. Da sottolineare che dei circa 3000 seminari organizzati, una metà è risultato cancellato o ha portato una modifica dell’ultimo minuto. Al di là delle pecche organizzative, che pure hanno impedito, in parte, la circolazione di idee, progetti e strategie, ingannando le aspettative di un buon numero di partecipanti, vale la pena tuttavia soffermarsi su almeno due aspetti fondamentali emersi.

Caracas

Il primo riguarda il socialismo del XXI secolo, argomento apparso non a caso in molti seminari e dibattiti. Non a caso perché questa edizione del Foro ha rappresentato un’occasione di dialogo tra il governo venezuelano ed i movimenti sociali ed ha permesso di aprire un dibattito sulla relazione tra movimenti e politica nel resto del mondo. Oltre alle reazioni di diversa natura, scaturite dal fatto che per la prima volta un presidente si sia intrufolato all’interno dei lavori del Foro, generando acclamazioni da una parte ed aperte critiche dall’altra, diverse sono le posizioni in relazione a quanto il Foro, nato in contrapposizione alla politica ufficiale, debba legarsi alle "nuove" istituzioni progressiste in America Latina.

Alcuni intellettuali affermano che è arrivato il momento che i movimenti sociali accettino un compromesso con la politica.

Ignacio Ramonet, direttore del quotidiano franceseLe Monde Diplomatique, spiega che continuando in questo modo il Foro rischia di "depoliticizzarsi e folclorizzarsi" e di trasformarsi in una specie di "fiera internazionale delle associazioni, in un salone mondiale della società civile", mentre deve, al contrario, "creare le condizioni per passare all’atto politico".

Di opinione opposta è chi afferma che i movimenti devono rimanere indipendenti, come Gilberto López, antropologo ed ex deputato messicano del Partito della Rivoluzione Democratica (PRD). López, che partecipa all’Altra Campagna degli Zapatisti, afferma che "i movimenti sociali non devono avere fiducia, in linea di principio, in nessun tipo di cambio istituzionale, di qualunque colore esso sia". Sulla base della sua esperienza parlamentare, López difende l’autonomia e spiega che la caduta verso la corruzione dei partiti al governo è "immancabile e rappresenta un evento strutturale", in quanto la stessa esperienza dimostra "che se si imbocca la strada istituzionale si arriva a riprodurre un sistema pre-esistente".

Il secondo punto di analisi riguarda la capacità del Foro di rappresentare ancora un luogo di elaborazione di nuove strategie su tematiche di rilievo internazionale. Un esempio emblematico è rappresentato dall’incontro di movimenti latino-americani ed europei che si oppongono ai processi di privatizzazione nella gestione delle risorse idriche da parte di imprese multinazionali nordamericane ed europee. Per la prima volta, durante il Foro di Caracas è stato prodotto un lavoro congiunto, per cui i differenti seminari sull’acqua si sono trasformati in uno spazio comune che ha permesso di superare i problemi organizzativi e di generare un unico grande dibattito durato quattro giorni ed alla fine del quale è stata prodotta una dichiarazione da presentare ai diversi governi ed istituzioni del mondo. Ai lavori hanno partecipato, tra gli altri, personaggi come Oscar Olivera, testimone della vittoria del popolo Cochabamba, in Bolivia, contro la multinazionale statunitense Bechtel, ed Adriana Marquisio, della Commissione Nazionale in Difesa dell’Acqua e la Vita (CNDAV), che ha permesso, in Uruguay, la storica vittoria del al referendum costituzionale in merito alla gestione pubblica delle risorse idriche. Personaggi di rilievo durante il dibattito sono stati anche la francese Danielle Mitterrand, della omonima fondazione, e l’Italiano Emilio Molinari, presidente del Comitato Italiano per il Contratto Mondiale dell’Acqua.

La dichiarazione finale riafferma ancora una volta l’importanza che l’acqua sia considerato un diritto umano inalienabile e che le istituzioni nazionali ed internazionali acquistino di nuovo la capacità di assicurare questo diritto ponendosi al di sopra degli interessi privati. Si chiede dunque che l’acqua non sia considerata come una merce e ci si propone di attuare azioni di riflessione e di critica in relazione ai prossimi incontri internazionali che coinvolgeranno i governi del Mondo, primo fra tutti il 4° Foro Mondiale dell’Acqua previsto per il prossimo marzo in Messico.

In conclusione, le riflessioni emerse durante il foro sottolineano che le recenti vittorie elettorali di candidati legati ai processi di lotta popolare in America Latina non usufruiranno di un sostegno incondizionato da parte dei movimenti sociali. Come si legge nella dichiarazione finale, "i movimenti sociali devono mantenere una propria autonomia politica e programmatica, continuare a promuovere la mobilitazione sociale per proseguire nel conseguimento dei propri obiettivi e mettere pressione per evitare qualsiasi tipo di adesione di questi governi a posizioni del modello neoliberale".

C’è chi riflette sulla possibilità che il Foro Sociale Mondiale non esista più come tale, ma lasci spazio piuttosto ad esperienze, in parte già esistenti, come quelle dei Fori Tematici e Regionali.

L’appuntamento, comunque, è per il prossimo anno a Nairobi. Una nuova sfida per l’Africa: permettere che i movimenti e le organizzazioni di base del continente assumano un nuovo protagonismo in grado di dirigere le future mobilitazioni sociali e permettere di affermare che "un altro Foro Mondiale è possibile!".